Gelato e panettone vincono oltreoceano

Prima della qualità, viene l’italianità: sono i prodotti che rimandano alla nostra cultura gastronomica quelli più apprezzati nel mondo. E i brand nazionali conquistano il Medio Oriente

Per gli amanti del dolce, l’Italia nel mondo sa di gelato e panettone. Due prodotti la cui origine è dichiarata dal nome ancora prima che dal gusto o dalla storia. È questa una delle chiavi del successo di alcune realtà nazionali che sono riuscite a conquistare i mercati stranieri con i loro pdv, o il loro prodotto che è possibile trovare negli scaffali dei luxury retail più prestigiosi.

Il gelato di Cioccolatitaliani e RivaReno

Sono 19 su 54 i pdv Cioccolatitaliani nel mondo, principalmente in Medio Oriente e nell’area dei Balcani. Uno sviluppo “guidato principalmente da richieste di affiliazione in franchising” spiega Vincenzo Ferrieri, founder e Ceo del brand. “La grande novità di quest’anno sono proprio gli investimenti diretti, per i quali abbiamo iniziato un’analisi di fattibilità verso paesi come Francia, Germania e Spagna”. Prosegue anche la penetrazione dei mercati storici, come l’Arabia Saudita, tra i più performanti. “In Medio Oriente abbiamo dovuto adattare la nostra formula al contesto, eliminando le preparazioni a base alcolica e assecondato il gusto locale più accentuale per il dolce, ma è il tema dell’accoglienza quello che ha necessitato l’adattamento maggiore: i negozi sono molto più grandi, pensati per lunghe soste, perché il cliente non è abituato a consumare al banco ma al tavolo”.

Sedici su 30, invece, i pdv RivaReno.  “Fino a un anno fa lo sviluppo è stato segnato da richieste spontanee di affiliazione” – spiega Nicola Greco, Founder del brand -. Un anno fa, abbiamo avviato un rapporto con Affilya, società italiana di sviluppo franchising, e in questo momento stiamo sviluppando un’azione a livello internazionale per un’espansione principalmente sui mercati europei. C’è ovviamente una supervisione sui fornitori che non possono essere fuori dai nostri standard. Spesso il franchisee non ha una competenza specifica quindi la supervisione lo aiuta a mantenersi in linea con il nostro capitolato”.

A scuola di panettone: De Vivo e Olivieri 1882

Se le gelaterie a insegna italiana spopolano nelle città del mondo, sugli scaffali di gastronomie di nicchia e luxury retail è il panettone a farla da padrone. Quello di De Vivo, per esempio, per il quale l’export incide fino al 30% sul fatturato. Ma la passione per il panettone agisce anche da leva per gli altri prodotti del brand: “se nel periodo natalizio le vendite funzionano e il marchio gira bene, è il buyer stesso che ci chiede di ampliare la proposta. Vanno forte i lievitati da colazione e i babà – spiega Simona De Vivo, Marketing and communication manager del brand -. “L’idea di aprire direttamente oltre confine c’è, ma per il momento proseguiamo nella nostra attività di inserimento del marchio sui vari mercati, in modo da creare un radicamento tale che in un futuro potrà portare sviluppi ulteriori” conclude De Vivo.

Sempre più presente negli store internazionali anche il panettone Olivieri 1882, promosso da Nicola Olivieri in prima persona: il pasticciere, quinta generazione della famiglia a capo dell’omonimo brand, gira il mondo per promuovere la qualità e l’artigianalità del prodotto italiano con eventi, degustazioni, workshop e occupandosi in prima persona della formazione del personale che si occuperà della vendita dei prodotti Olivieri 1882.

I cannoncini di Serge a Riad                                             

Caso a parte quello di Serge Milano, celebre per i suoi cannoncini gourmet, con due pdv in Italia e uno a Riad. “Prima dell’incontro con i nostri attuali partner in Arabia Saudita non c’era l’idea di un’espansione all’estero” ci racconta Sergio Gavazzeni. “Oggi è una strada che vorremmo percorrere, anche perché c’è grande interesse, soprattutto in Europa. Dobbiamo però mettere a punto una formula ad hoc sempre per il franchising, ponendo attenzione soprattutto al tema prezzi del trasporto, che incidono moltissimo sull’attività in Medio Oriente, mentre in Europa si potrebbe optare per il trasporto su gomma meno costoso”. Un’esperienza interessante quella di Serge Milano che dimostra come sui mercati esteri ci sia spazio anche per prodotti di “nicchia” legati alla pasticceria e non solo per best seller come gelato e panettone.

Aprire a New York: l’esperienza di Bianco Latte

Per concludere, si cambia prospettiva con Andrea Zanin, Pastry chef & founder Bianco Latte, due pdv a New York e uno di prossima apertura a Miami. Cosa significa fare impresa negli States? Un profondo cambio di mentalità. “Il sistema di impresa è molto semplice, la burocrazia è al minimo, ma le complessità sono altre. Per esempio l’affitto di un locale, per il quale è impossibile non coinvolgere un avvocato”, spiega Zanin. Anche la gestione del personale comporta un cambio di paradigma: “L’economia americana si basa sulle procedure: ogni lavoratore svolge una mansione specifica. Questa logica dà la possibilità alla persona di specializzarsi velocemente e all’azienda di gestire il know how, che non viene messo a disposizione di tutti. È un sistema funzionale, quello che ha reso l’America la prima potenza economica al mondo, ma che ha ovviamente i suoi limiti. Il motivo per cui spesso gli italiani che arrivano qui diventano manager, per esempio, è che riescono a essere trasversali: dove l’americano chiede l’intervento del superiore perché un certo imprevisto è fuori dalle sue mansioni, l’italiano sa prendere l’iniziativa”.

Fondamentale infine capire che “a New York non interessa chi sei e da dove vieni, devi dimostrare cosa sai fare, e se il newyorkese non riconosce il brand e non vede valore nel tuo prodotto, non c’è possibilità di sopravvivere perché i costi di gestione sono talmente alti che devi generare per forza reddito, e se non ci riesci devi uscire dal mercato. L’aspetto positivo è che una chiusura qui non è vista come un fallimento irrecuperabile. Gli americani si danno sei mesi: se in questo periodo il concept non è profittevole si chiude. E si apre da un’altra parte”.  

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