Dolce di fine pasto: la visione dei pastry chef

Dolce di fine pasto: la visione dei pastry chef

Chiudere in dolcezza: le regole del dessert perfetto. I pastry chef ci raccontano la loro visione del dolce di fine pasto. Ultimo piatto, ma non per importanza

VALORIZZARE IL DESSERT

Il mondo della pasticceria da ristorazione è in fermento. Ristoranti stellati e fine dining sono stati i primi a valorizzare il momento del dessert, ma oggi l’attenzione per questo momento è una tendenza condivisa a ogni livello. Eccoci a fare è il punto della situazione, per capire “dove eravamo rimasti” e quali sono le basi su cui strutturare il futuro. Ma di cosa parliamo, oggi, quando parliamo di dessert? «Nel giro di una decina d’anni siamo passati dalle torte al carrello al dessert al piatto», ci spiega Domenico Di Clemente, Executive Pastry Chef del Four Seasons Hotel di Firenze e portavoce del gruppo Pass121. «Oggi il panorama è decisamente cambiato. Il dessert non solo ha dietro uno studio per quanto riguarda aromi, consistenze, strutture e design, ma soprattutto si posiziona in carta come parte integrante dell’esperienza gastronomica». «Soprattutto in contesti gourmet – prosegue Di Clemente – è il cliente stesso che ricerca questo tipo di esperienza, vuole qualcosa di diverso da ciò che può trovare nella pasticceria classica. Un buon dessert valorizza l’intero menu».

LA FIGURA DEL PASTRY CHEF

«La figura del pasticcere da ristorazione e d’albergo negli ultimi anni gode di una rinnovata importanza, alla stregua dei grandi executive chef de cuisine – spiega Gabriele Bozio, Executive Manager e Docente di CAST Alimenti –. Dal 2010 in poi, sull’onda della grande evoluzione del settore culinario dovuta, tra gli altri, al grande Ferran Adrià, anche il valore della parte dolce della proposta alberghiera e ristorativa ha iniziato a crescere, per arrivare agli altissimi livelli attuali. Pensiamo solo che ogni anno un pastry chef viene insignito di un riconoscimento a livello internazionale che ne attesta il valore, il The World’s Best Pastry Chef».

INNOVAZIONE

«Una tra le più grandi novità degli ultimi anni nel mestiere del pastry chef è stata l’apertura da parte di Accademia Maestri Pasticceri verso il modo della ristorazione – ci spiega Gabriele Vannucci, Pastry Chef de La leggenda dei Frati, ristorante stellato a Firenze –. Tutto ciò ha creato un maggiore scambio con la pasticceria da banco, alla quale i nostri input hanno dato nuovi stimoli. A partire dall’uso di prodotti alternativi con i quali si ottengono prodotti gluten free o vegani. Questo è un tema molto importante per il pastry chef, che da sempre deve affrontare problematiche legate ad allergie e intolleranze nella preparazione di dolci espressi».

PROSPETTIVE FUTURE

Il prezzo avrà un peso non indifferente nelle scelte di spesa del cliente nel prossimo futuro. Ma anche in quelle del ristoratore, che quindi strategicamente sarà sempre più portato a dare il giusto spazio a un momento come quello del dessert. Momento molto appagante per il cliente e interessante dal punto di vista del profitto. «Il ristoratore oggi è attento al food cost e sta capendo sempre di più la marginalità dietro il dessert – ci spiega Vanucci –. Altro aspetto legato al discorso risparmio è quello delle materie prime. Come per la cucina, anche nella pasticceria da ristorazione temi come “chilometro zero” e stagionalità sono al centro del discorso. Si tratta di un ingranaggio di una catena virtuosa che aiuta a valorizzare le produzioni locali, ma anche a limitare le spese.

IL CONCEPT DEL DESSERT BAR

Realtà già consolidata all’estero, arriva anche a Milano, grazie all’iniziativa di Federico Rottigni. «L’idea è quella di portare i miei ospiti fuori dallo schema del classico dessert dolce. Noi proponiamo un menu di quattro portate abbinate a quattro drink e al termine dell’esperienza la sensazione è di assoluto benessere. I nostri dessert sono de-dolcizzati, e giocano prevalentemente su consistenze, temperature, e acidità. Gli ospiti vivono un’esperienza completamente diversa da quella del ristorante, molto più simile a uno spettacolo teatrale. I piatti sono preparati davanti a loro e serviti accompagnati da uno storytelling e da una coreografia fatta di luci e atmosfere studiate sulla singola portata»

L’ESPERIENZA DEL LABORATORIO

Nicolò Moschella è il titolare di un laboratorio a Cornaredo (MI) la cui produzione è dedicata all’80% al mondo della ristorazione. Serve più di 150 locali di medio-alto livello che propongono principalmente cucina orientale, ma anche tradizionale italiana. Si trovano soprattutto in Lombardia, ma da poco ha esteso la rete dei clienti in altre regioni. I dessert vengono studiati, discussi e poi entrano a far parte di un catalogo da cui è possibile scegliere.

IL DESSERT NELLA RISTORAZIONE GIAPPONESE

Se fino a qualche anno fa il dessert era raramente contemplato nelle ordinazioni ai tavoli dei ristoranti etnici, oggi anche in quest’ambito le cose sono molto cambiate. Un esempio interessante è quello di Hiromi Cake, pasticceria giapponese aperta poco più di un anno fa che oggi conta tre sedi tra Roma e Milano. Ce ne parla la Pastry Chef Mitsuko Takei.
Com’è iniziata la collaborazione con i ristoranti?
Dall’esigenza di servire i due locali del nostro Gruppo, Okasan e Otosan a Roma. A quel punto siamo stati contattati da una serie di ristoranti giapponesi, fusion ma anche tradizionali italiani. Oggi serviamo ristoranti anche su Milano, Verona e Torino, e abbiamo già organizzato la distribuzione per rifornire tutta Italia. Parte della tradizione comprende gli Yogashi, letteralmente “dolci dell’Occidente”. I pasticceri giapponesi riprendono i dolci occidentali e li rivisitano con profumi o ingredienti orientali, ad esempio una classica tarte al limone fatta però con lo yuzu.

L’IMPORTANZA DELLA CONSULENZA

«La consulenza di un pasticcere è sempre più ricercata nella ristorazione per lo sviluppo della carta del dessert, ma anche per far crescere le competenze della brigata, in modo da portare le basi da pasticceria nell’universo salato». Sono queste le premesse al lavoro che Gianluca Fusto sta portando avanti da una decina d’anni. «All’inizio cerco di studiare la filosofia del ristoratore per riuscire poi a interpretarla, e questa è la cosa più difficile. Quando abbiamo deciso come operare, con che cadenza deve cambiare la carta dei dolci o come devo formare il personale, comincio a lavorare sulle singole persone in base ai ruoli».

ENRICO BARTOLINI: IL DESSERT COME RITO

«Negli ultimi due anni al Mudec abbiamo eliminato quasi tutte le preparazioni non espresse, dessert inclusi», ci racconta Enrico Bartolini, 3 stelle Michelin al Mudec di Milano e otto in totale su cinque ristoranti tra Lombardia, Piemonte, Veneto e Toscana. «Puntare sull’espresso ci ha portato a selezionare una serie di preparazioni che si prestano a conservare la giusta fragranza quando sono fatte al momento, come soufflé, zabaione, babà. I dessert tradizionali e scolastici sono quelli che mi attraggono di più, e comportano un’esecuzione più complessa rispetto a molte preparazioni moderne». «Per me il pre dessert deve basarsi su un ingrediente eccellente trasformato anche in modo semplice, ma che racconti qualcosa. Noi abbiamo dei dadi in cioccolato bianco finissimo con all’interno un microscopico biscotto all’olio extravergine, lampone e mandarino. Si lanciano i dadi, se si vuole si scommette con gli altri commensali, e poi ci si mangia l’oggetto del gioco. In abbinamento proponiamo un sake fatto con lo yuzu. Poi si procede con il dessert e la piccola pasticceria».

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