Gabriele Bonci: l’evoluzione continua

Abbiamo intervistato Gabriele Bonci, professionista eclettico che in questi anni ci ha portato a scoprire molti lati della sua personalità. Pizzaiolo, panificatore, cuoco, personaggio televisivo e imprenditore
Gabriele Bonci: l’evoluzione continua

Gabriele Bonci, classe ’77, nel 2003 apre la sua prima attività a Roma. Si chiama Pizzarium, dove propone pizze con farine selezionate e ingredienti di qualità, sapientemente miscelati per creare pizze gourmet. Il successo è grande e viene notato dalla televisione.

Diventa ospite fisso a ‘La Prova del Cuoco’, su Rai 1. Qui insegna al grande pubblico come fare una pizza ben alveolata e croccante. Apre un panificio, sempre a Roma. Poi sbarca a Chicago per far conoscere la vera pizza italiana agli americani. Ottiene un programma tutto suo ‘Hero – la sfida dei forni’ su La Nove, dove fa da giudice tra i forni di una stessa città, seguendo il lavoro dei fornai anche di notte. Si divide tra Roma e Careggine, in Garfagnana, in provincia di Lucca, dove rileva una pizzeria e diventa cuoco nel Rifugio Alpi Apuane. Incantato da quei luoghi immacolati e dalle piccole produzioni sostenibili che conservano ancora la tradizione, vi rimane fino al 2020. Attualmente è proprietario di tre pizzerie a Roma.

Gabriele Bonci in verità non ha bisogno di presentazioni. Possiamo assegnargli tante etichette diverse. Pizzaiolo, panificatore, chef, personaggio televisivo, eppure nessuna riesce completamente a definirlo. È soprattutto un sognatore e un affabulatore. Con energia travolgente riesce a coinvolgere il pubblico nella sua visione del lavoro, che è fatta di sacrificio, passione e progetti in continuo divenire. Ama il cibo e ama raccontarlo.

L’INTERVISTA

Chi è oggi Gabriele Bonci?
Sono sempre lo stesso, anche se oggi posso dire di sentirmi un uomo nuovo, finalmente guarito e consapevole. Con il mio team stiamo cercando di lavorare sulla filosofia che sta dietro al lavoro. Ritengo sia fondamentale, perché il pensiero è esattamente una proiezione dell’istinto.

Qual è stata l’eredità che le ha lasciato l’esperienza garfagnina?
L’intero territorio mi ha supportato, la gente della Garfagnana è resistente, un popolo che mi piace. Basti pensare a come conservano la tradizione. I prodotti tipici come la farina di castagne, i metati ancora funzionanti dove vengono essiccate le castagne. Le 320 varietà di frutti antichi che Ivo Poli, Presidente dell’Associazione Nazionale Città del Castagno, conosce e riproduce. Ci sono aziende che stanno mettendo in produzione il fagiolo Scritto e che coltivano il fagiolo Mascherino. Come coltivatori custodi della Banca del Germoplasma che conserva tutte le varietà endemiche.

Maestro della pizza gourmet e creatore di uno stile di fare pizza che porta il suo nome. Quali sono stati i suoi maestri, se ne ha avuti?
Posso citare Franco Palermo e Fulvio Pierangelini anche se con loro non ho mai cucinato. Diciamo che ho seguito il ciclo naturale dello sperimentare per arrivare a codificare delle regole. Nella nostra azienda abbiamo al 90% di fornitori diretti. Ho i miei orti, i miei pastori, i miei allevatori, persone che hanno cominciato un percorso insieme a me. Addirittura il sale che utilizzo lo produce una piccola salina. Lo compro a 2 euro al chilo, ma se così non fosse, quella salina sarebbe destinata a chiudere. È questo il significato di un lavoro fatto su larga scala. La qualità costa ma, nonostante tutto, teniamo in piedi 3 attività a Roma, con più di 40 dipendenti.

La pizza è tradizione o innovazione? Qual è la sua pizza preferita?
La pizza non è né tradizione né innovazione. Cambiare il mondo della pizza è come pensare di cambiare l’impero romano, anche se credo di essermi guadagnato un po’ di eternità in questo campo. Sono stato il primo a incontrare come pizzaiolo Anthony Bourdain a Roma. Sono stato il primo in Rai, il primo pizzaiolo panettiere che ha avuto un programma tutto suo. Il primo ad avere un articolo da un giornalista sulla pizza nel 2003, sono stato il primo a fare un supplì di pasta che è diventato un classico. Il primo a fare i banchi multicolore, a usare farine integrali sulla pizza, a usare il lievito naturale. Sono primati che collegano a un disegno e quando il tempo traccia un disegno, hai fatto la storia. Le industrie, poi, hanno cominciato a produrre farine tecniche di tipo 1, di tipo 2. Lo hanno fatto allontanando quasi tutta la parte etica e prendendo soltanto la parte di marketing. Per me la pizza rossa è un linguaggio universale. La mia è fatta con pomodorino dell’azienda agricola Co.r.ag.gio. Si tratta di un’azienda che ha acquistato terreni incolti e ha cominciato a fare un’agricoltura totalmente sovversiva. Ha rimesso in agricoltura il sorgo che crea un ambiente che resiste senza acqua. Produce un aglio meraviglioso e coltiva un grano eccellente. Sulla stessa linea i proprietari della Fattoria Faraoni che allevano animali in maniera etica e sostenibile pensando alla terra e all’aria.

Secondo lei qual è il futuro dell’Arte bianca? Quali saranno le tendenze?
L’Arte bianca avrà una grandissima pace. Si tornerà a mangiare la pizza con l’intelligenza di mangiare qualcosa di buono, ma soprattutto politico. La pizza è un grandissimo strumento per mettere in moto un sistema agricolo. Se 4 persone mangiano una pizza con le verdure vuol dire che stanno mangiando il frutto di 100 mq di terreno coltivato. Il futuro della pizza, a mio avviso, è spostare tutto il core business nel momento del pranzo, offrendo un’alternativa valida alla pizzetta da bar.

La pandemia come ha cambiato il suo modo di fare la pizza?
Durante il Covid dovevo tutelare il personale. Avevo 2 locali chiusi e 20 persone in mezzo alla strada con una cassa integrazione di 500 euro. Ho tentato il delivery, ma è stato un massacro perché la concorrenza era altissima. Ho quindi creato la ‘pizza di famiglia’, a 15 euro, che risponde fino a 6 porzioni.

Pizza classica, gourmet, delivery, asporto… quale futuro post Covid?
Il futuro sarà la pizza semplice. La pizza gourmet diventerà una pizza del Nord, perché il Nord ha bisogno di fare quel tipo di ristorazione. Cito sempre Massimiliano Prete, che è un grandissimo imprenditore della pizza, il più grande che noi abbiamo in Italia. Quest’uomo crea pizzerie gourmet con un’attenzione totale dalla materia prima e ai processi produttivi. Fino all’offerta del beverage con vini di pregio. Il Nord è comfort, ha un’etica, economicamente evoluta anche nel consumo. Il più grande futuro sarà quando si smetterà di fare classifiche. Dal momento che la gente non si sentirà più giudicata ci sarà un grandissimo ritorno di scambio di comunicazione. Questa è la cosa più importante.

BONCI E IL MONOCOCCO

Tra i tanti e cosiddetti cereali antichi Gabriele Bonci sta dedicando le sue ricerche, da ben 14 anni, al Monococco. Il più antico dei cereali antichi, che rischiava di essere dimenticato. La sua storia pare avere origine circa 10 mila anni fa nella Mezzaluna Fertile. Bonci porta avanti il progetto insieme a Mulino Marino. “Lo abbiamo chiamato “Enkir”, da uno dei nomi del monococco. È un cereale dalle caratteristiche pazzesche e, tra l’altro, adattissimo per chi è fortemente intollerante al glutine”. Racconta così lo stesso Bonci in un’intervista pubblicata su Vice.

I vantaggi nel consumarlo sono molteplici. Dapprima quelli nutrizionali, grazie alla presenza di proteine, carotenoidi, grassi insaturi, vitamina E e ferro. Poi quelli sostenibili, dato che ha bisogno di poca acqua ed è naturalmente resistente ai parassiti. Inoltre la sua resa è molto bassa. Il monococco, continua Bonci, è “un cereale scoordinato. Nel senso che il primo gene del monococco ha il 14% di proteine diverse e non ha praticamente glutine. E ha un sapore pieno”. Il sapore, rispetto al pane che tutti noi siamo abituati a mangiare, pare essere molto più complesso, anche solo da descrivere.

Ma il progetto di Bonci non si limita alla sola panificazione. “Del monococco è interessante soprattutto la parte agricola. Infatti è una pianta che non ha bisogno di troppa acqua o di concimi. E poi si riproduce da sola. Così abbiamo scelto un territorio sugli altipiani di Arcinazzo e lì abbiamo iniziato a coltivarlo. Il mio sogno è quello di fare tutto a base di monococco”. Nel forno romano, oltre al pane, si possono infatti trovare anche plum cake, biscotti da inzuppo, pizza e, nel periodo pasquale, la pastiera. “Per avere un buon risultato abbiamo lavorato a diverse soluzioni saline e a un lievito madre di farro duro per farlo alzare. Non aveva senso fare tutto questo lavoro e poi usare un lievito a base di grano”.

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