L’ intervista impossibile con Pellegrino Artusi

L’ intervista impossibile con Pellegrino Artusi

Buongiorno Signor Artusi, possiamo darci del tu? “No, è un costume che non mi appartiene”.  Il mondo della gastronomia è sempre più esposto all’attenzione mediatica. Che cosa ne pensa? “ Sono diffidente. Mi sembra che si dia più attenzione al cuoco che alla sostanza del piatto. Cibo è cultura, non spettacolo”. Mi dice tre elementi indispensabili perché la cucina sia trattata con la dignità che le spetta? “ Il rispetto di chi lavora per preparare piatti gustosi e di chi con il suo lavoro permette di prepararli, la capacità di raccontare la storia di un territorio e il recupero della convivialità e della condivisione (so che c’è gente che invece di mangiare e di condividere le emozioni con gli altri commensali, passa il tempo a fotografare, dimenticando che il cibo non è uno spettacolo fine a se stesso) e, aggiungerei un quarto requisito,  la consapevolezza che cibo è cultura, è tradizione, è contributo alla costruzione di un’identità nazionale”. Che cosa dice a chi sostiene che lei sia un personaggio superato in quanto sarebbe cambiato il rapporto con il cibo? “ E’ ridicolo che mi debba difendere da un’accusa così generica. La mia opera è immortale: sono andato al di là delle proposte  di campanile, esclusivamente legate alle tradizioni regionali, ho dato la possibilità alla cucina italiana di costruirsi un’identità nazionale, ma aperta al mondo. All’estero dire Artusi, significa dire cucina italiana”. Cucinare significa solo presentare un piatto? “No, è stare attenti all’economia, all’igiene e al buon gusto”. Il rischio che corre la cucina? “Trasformarsi in spettacolo, decretando così la propria morte. Solo le culture resistono nel tempo” Che cosa la indigna? “La facilità nel giudicare, senza avere rispetto del lavoro che permette di arrivare alla proposta di un piatto”. Grazie per l’intervista, mi concede una stretta di mano? “Va bene, se proprio insiste”. Monica Viani

© Riproduzione riservata