Ammu e la magia del cannolo siciliano

Ammu e la magia del cannolo siciliano

Stefano Massimino con Ammu ha affrontato con successo una sfida dall’esito non scontato: affermare la cultura del cannolo, indiscusso simbolo della tradizione dolciaria siciliana, attraverso un format dedicato

Oggi Ammu conta sei locali (più uno) tra Milano e Roma, un fatturato di 1,9 milioni di euro e oltre 40 addetti, con età media 25-26 anni, quasi tutti siciliani. L’imprenditore di Acireale Stefano Massimino gestisce la catena con la moglie Marzia Capace, avvocatessa catanese e co-founder.

La svolta è arrivata con Expo 2015
In effetti, l’idea di Ammu è legata al grande evento milanese. Non avevo esperienze nel food, ma ho pensato che quella fosse l’occasione giusta per creare una rete di imprese siciliane di qualità nel settore alimentare. Ne ho selezionate 12 su circa 400 contattate, portandole alla Cascina Triulza, dov’era ospitato il padiglione della società civile. È stato un successo oltre ogni previsione. Il nostro cannolo espresso ha conquistato oltre 133.000 clienti. Una forte spinta a lanciare il progetto e una conferma che la rete di imprese “funzionava”.

Perché avete scommesso proprio sul cannolo?
Rappresenta bene l’intera Sicilia ed è universalmente conosciuto da tutti. Il cannolo rievoca passioni e sensazioni positive: le reazioni del pubblico di Expo ce lo hanno confermato. Senza dimenticare che, secondo molte rilevazioni, è il dolce più venduto al mondo dopo il tiramisù.

Quanti tipi di cannolo proponete?
Abbiamo una sola versione, quella tradizionale frutto della ricetta di un’antica famiglia nobiliare che eseguiamo ancora oggi. La eseguiamo con ricotta bianca di pecora prodotta da caseifici palermitani, anche se di recente abbiamo proposto varianti come la ricotta con pistacchio o nocciola. Tutte le cialde sono prodotte a Catania. Anche i topping sono classici: cioccolato, arancia candita, pistacchi o ciliegina candita. In termini di dimensioni, offriamo quattro opzioni: mignon (35 g), tradizionale (110 g), grande (140 g) e maxi (1 kg), ideale per le occasioni conviviali.

Quali prodotti completano l’offerta?
Da sempre ai cannoli affianchiamo la cassata, altro dolce iconico, che proponiamo in una versione palermitana molto apprezzata. Inoltre, abbiamo una selezione di circa 200 referenze rigorosamente siciliane. Per esempio, tra i prodotti confezionati spiccano marmellate, mieli, creme al pistacchio. Tra i dolci annoveriamo pasta di mandorla, croccante ecc. In estate sono molto richieste le granite. Pian piano introduciamo qualche innovazione, come le torte semifredde, e lavoriamo molto anche su ordinazione per fidelizzare i clienti e abituarli alla qualità.

Come selezionate i fornitori?
Partendo dal presupposto che il requisito dell’alta qualità della produzione è fondamentale, ci rivolgiamo ad aziende né troppo grandi – perché rischieremmo di avere un prodotto di tipo industriale – né troppo piccole, perché l’eccessiva artigianalità è spesso sinonimo di qualità mutevole, non costante nel tempo. I nostri fornitori devono anche essere efficienti e quindi in grado di rispettare le regole di confezione ed etichettatura, gli ordini e le tempistiche di consegna. Quasi tutte le 12 aziende che portammo a Expo sono rimaste con noi, affiancate da altre realtà premium conosciute in questi anni. La logica delle rete resta e continua a evolversi.

Come gestite la logistica?
Detto che tutta la produzione è concentrata in Sicilia, ci appoggiamo a due poli logistici (in Lazio e Lombardia) per la ricotta (zuccherata e abbattuta a -25°C) e le cialde, che invece viaggiano a temperatura ambiente. Un’altra struttura importante è il nostro laboratorio-magazzino di Milano, dove realizziamo gli altri prodotti freschi, come le torte. La struttura serve sia i locali milanesi sia quelli romani. Produzione e logistica sono concepite perché ogni prodotto sia facilmente replicabile in Italia e nel mondo. A livello di organizzazione e certificazioni, già oggi siamo pronti in tal senso.

Come sono strutturati i locali?
Le formule sono varie: c’è sempre la possibilità di sostare per consumare i prodotti sul posto, mentre alcune location sono dotate di tavolini. Resta il fatto che la fetta più importante del fatturato deriva dall’asporto. Una proposta molto apprezzata è il nostro “kit cannoli”, una confezione da asporto che comprende un sac-à-poche con la ricotta e cinque cialde vuote da riempire a casa. La shelf-life è di 5-6 giorni.

A quale tipologia di consumatori vi rivolgete?
Il nostro è naturalmente un target di appassionati, con una certa prevalenza di donne dai 30-35 anni in su. Moltissimi clienti sono siciliani residenti o di passaggio in città, anche se cresce la schiera di milanesi e romani che apprezzano la qualità dei nostri prodotti. A Milano, in particolare, la clientela è molto diversificata. In città come quelle dove operiamo non mancano i turisti stranieri, che impazziscono per i nostri cannoli, ma non sono il nostro obiettivo primario. Preferiamo insediarci in location non troppo turistiche: puntiamo su quartieri “vissuti”, con una forte presenza di residenti o uffici.

A proposito, a oggi com’è strutturata la rete?
Abbiamo quattro negozi a Milano (in Garibaldi, Broletto, Magenta e Porta Venezia), e una quinta apertura in corso Vercelli, inaugurata il 6 dicembre scorso in modalità temporary e destinata a diventare un punto vendita stabile dal 4 aprile, se non fosse intervenuta l’emergenza Coronavirus. La riapertura è solo rinviata. A essi si aggiungono i due locali di Roma, in viale Libia e nel centro commerciale Happio sull’Appia Nuova. Ogni apertura ci insegna qualcosa e ci permette di perfezionare il format.

C’è differenza tra Milano e Roma dal punto di vista dei costi immobiliari e di gestione?
Sotto questo profilo le due città sono simili, anche se forse in alcune zone Roma è un po’ più costosa. Milano è più satura perché in fondo è una città piccola, ma ti permette di aprire ovunque e vive ancora oggi un grandissimo fermento. Roma è una città enorme, pone tanti vincoli, è assai più “complicata”: va quindi gestita in modo totalmente diverso e c’è ancora moltissimo da fare. Per ora abbiamo sempre scommesso sull’high street con locali da 40-50 mq, perfetti per avere un contatto diretto con il quartiere. A Roma abbiamo sperimentato la formula del centro commerciale all’interno della food court: al momento non siamo pronti per affrontare le gallerie commerciali di quelle strutture. Abbiamo valutato con attenzione anche il canale travel, che per molti versi si presta a un’offerta come la nostra, ma ha costi d’ingresso molto elevati.

Il franchising potrebbe essere lo strumento giusto per espandersi? Onestamente non credo alla formula del franchising puro, soprattutto per una realtà particolare come la nostra, che ha bisogno di essere presidiata molto da vicino e in modo diretto. Il rischio è quello di perdere il controllo sulla qualità del prodotto e del servizio e quindi di snaturare il progetto. Preferisco, per il futuro, pensare ad aprirmi a collaborazioni con persone o società che siano interessate al nostro format e alla nostra filosofia, senza però che interferiscano nelle logiche di gestione, proprio com’è successo per le due aperture romane.

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