Cesare Airaldi: scalata al successo

Cesare Airaldi: scalata al successo

Lavora sodo, Cesare Airaldi. A soli 28 anni gestisce la cucina di un albergo 4 stelle, il Dolce Vita Alpina Posthotel di San Candido. Con un sorriso timido, ma che rivela sicurezza, ammette con candore: «Preferisco gestire la brigata senza avvalermi dell’aiuto del sous chef. Sono giovane, voglio scommettere sulle mie energie e non disperderle nel raggiungere un’autorevolezza difficile da conquistare a causa della mia età».
Un giovane chef, con una grande voglia di sperimentare, di osare, di proporre una cucina, che pur conservando i sapori di montagna, va oltre, facendoti scoprire il vero significato della tanto abusata parola gourmet. «Da bambino sognavo di fare il cuoco» racconta Cesare, che ricorda come la sua passione sia nata grazie all’amore per la cucina trasmessogli da sua nonna. Dopo gli studi ed esperienze in ristoranti come Villa Serbelloni a Bellagio e l’Imbarcadero a Como, completate con una stagione in Germania, Cesare è arrivato a San Candido.

Tradizione, innovazione e passione

Che cosa ti piace della cucina?
I colori, i profumi, la ricerca della qualità.
Come definisci la tua proposta?
Tradizionale ma con diversi spunti innovativi.
L’elemento più importante?
La ricerca della qualità della materia prima. Avere i fornitori giusti è essenziale. E naturalmente creare un piatto gustoso!
Ti occupi di tutto?
Curo la colazione, la cucina veloce, ma ricercata, del bar e ovviamente la cena. Per i dolci collaboro con uno chef pasticciere, Christian Mazzucchelli.
È difficile costruire un menù per un albergo?
Il menù deve essere vario, deve accontentare tutti i gusti, deve proporre piatti vegetariani o per intolleranti, deve prevedere anche piatti non strettamente legati al territorio. Azzardare è pericoloso, spesso opto per una semplicità ricercata, anche se talvolta non sfuggo alla tentazione di stupire, assumendone il rischio. Amo troppo sperimentare, utilizzo il sottovuoto, mi piacciono le spume soprattutto come elemento decorativo. Spesso nella cucina, per ovvi motivi di tempo, non si rischia la decorazione del piatto… È vero, ma io voglio proporre al cliente dell’albergo la stessa scelta e lo stesso servizio offerto all’ospite di un ristorante gourmet. Così, per esempio, il pane è artigianale, a lievitazione naturale, e la pasta fatta in casa. Voglio che le porzioni siano equilibrate in modo da permettere a tutti di concludere il percorso che propongo. È la parte più difficile nella costruzione di un menù ed è la mia scommessa quotidiana!
Qualche influenza estera?
Poche, talvolta una proposta di cucina asiatica.

Mai rinunciare ai sogni

Ci sveli un segreto? (Sorride)
Nonostante le mie origini, non amo il pesce di lago.
Un menù per una festa?
I menù vanno studiati con attenzione. Non rinuncerei a un antipasto di pesce, proporrei dei ravioli di ricotta con un pesto di pino mugo completati con salsa ai ricci di mare e poi studierei un secondo stagionale.
Che cosa pensi dei tuoi colleghi trasformati in star televisivi?
No comment. Apprezzo solo Rubio per la sua sincerità e per il suo sforzo di recuperare tradizioni che rischiano di andare perdute.
Il rischio che corre la cucina?
Essere vittima delle mode senza rispettare il gusto, che pochi sanno riconoscere veramente. Dietro a ogni piatto deve esserci studio, ricerca di equilibrio, voglia di stupire piacevolmente, facendo degustare piatti che vanno al di là delle aspettative dell’ospite.
Il tuo sogno nel cassetto?
La conquista della stella Michelin, ma sono realista e so che devo ancora crescere. Penso che la cucina di un albergo 4 stelle sia un’ottima palestra. Al Dolce Vita Alpina Posthotel godo della più completa libertà nella formulazione dei menù, che devono essere originali, con una firma riconoscibile: la mia.
 

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