
“I dolci sono entrati nella mia vita per puro caso. A 15 anni, mentre frequentavo il liceo, volevo comprare una moto e avevo bisogno di soldi, così sono andato a lavorare in una panetteria: non avrei mai pensato che sarebbe stato il mio futuro”, racconta a Dolcesalato Jesús Escalera, pluripremiato pastry chef spagnolo che, dopo varie esperienze nei ristoranti stellati, ha dato vita a La Postrería, il primo ristorante di dolci in Messico e oggi a Pastrypedia, un ambizioso progetto di “democratizzazione” dell’alta pasticceria.
Qual è stato il tuo percorso di studi?
Quando è arrivato il momento di scegliere cosa studiare, non avevo idea di cosa fare. Per puro caso – come tutte le cose della mia vita -, mi sono imbattuto in un opuscolo di una scuola di cucina e ho pensato: beh, posso provarci. Così mi sono iscritto alla Escuela de Hostelería Heliópolis di Siviglia, dove però ho studiato cucina, non pasticceria. Anzi, per dirla tutta… in quella scuola la pasticceria era molto trascurata, e la verità è che io la detestavo abbastanza. Ti veniva sempre insegnato che la cucina era più intuitiva – potevi aggiungere, sottrarre, assaggiare – mentre la pasticceria era qualcosa di preciso e squadrato. Per un giovane con il carattere ribelle di quell’età, questo mi sembrava un limite.
Poi è arrivato elBulli…
Esattamente. In generale, con il passare del tempo, nei lavori che ho svolto negli alberghi e nei ristoranti della città, sono sempre stato indirizzato verso la pasticceria e a poco a poco ho cominciato ad esserne attratto, anche se continuavo a preferire la cucina salata. E poi di nuovo, per caso, si è presentata l’occasione di fare uno stage all’Hotel elBulli, che all’epoca aveva due stelle Michelin. Avevo 19 anni! Ricordo che il primo giorno il capo chef mi chiese, visto che ero arrivato per ultimo, se preferivo il dolce o il salato e, senza pensarci bene, dissi “dolce”, mentre in realtà intendevo salato. Quell’errore mi ha portato alla pasticceria da ristorante, che è diventata la mia passione e il mio modo di intendere la vita.
Qual è stato il vero punto di svolta?
Il capo pasticciere di elBulli ha iniziato a spiegarmi il menu, ma non credo avesse capito del tutto che io non avevo mai preparato un dessert da ristorante in vita mia. Ricordo che c’era un dolce con gelato al pepe nero: ora può sembrare più banale, ma all’epoca per me – un ragazzo di Utrera, vicino a Siviglia – non aveva senso: come poteva esistere un gelato al pepe? L’ho provato pensando che non mi sarebbe piaciuto… e la mia mente è esplosa. Dolce, ma con un tocco piccante e leggermente balsamico… è stato un cortocircuito nel mio cervello. Non capivo cosa stessi mangiando, ma mi piaceva. E in quel momento ho capito che volevo provocare la stessa sensazione in chiunque assaggiasse un mio dessert. Questo è stato il mio vero punto di svolta.
Come definiresti oggi il tuo stile di pasticceria?
Il mio stile si è evoluto nei miei 20 anni di esperienza, ma se dovessi definirlo oggi, direi che è rilassato, giocoso e divertente, ma sempre con tecnica e logica. Una cosa che mi piace molto dire è che bisogna cucinare con le mani di un professionista, ma con gli occhi di un bambino. Per i bambini il dolce è un premio, giusto? Ecco, questa sensazione di eccitazione e di premio è qualcosa che voglio sempre mantenere nelle mie creazioni.
Al di là della creatività o dell’estetica, per me è fondamentale che tutto abbia una struttura, un significato e una ragione d’essere. Non si tratta solo di fare dei bei dessert, ma di capire perché ogni tecnica funziona, ogni combinazione di sapori, la ragione di quegli ingredienti e ogni consistenza, in modo che il risultato non sia solo gustoso e con un buon gioco di consistenze, ma anche emozionante.
Leggi l’intervista completa sull’ultimo numero di Dolcesalato ↓