
Sappiamo bene come, fino a non molti anni fa, il settore della panificazione fosse ad appannaggio maschile. Tuttavia, in tempi recenti, si è assistito a un cambiamento significativo, con un crescente interesse da parte di un’ampia platea femminile, un fenomeno a cui abbiamo pensato di dare rilievo in questa nuova Powerlist che riflette il volto rosa della bakery e delle sue protagoniste che condividono lo stesso pensiero, sensibilità e attenzione ai dettagli con un’attitudine spiccata all’ascolto e alla cura.
Questo fenomeno, che ha iniziato a emergere con la generazione nata nella prima metà degli anni ’70, ha visto donne soprattutto provenienti da professioni diverse avvicinarsi al mondo della bakery. Allo stesso tempo cresce la richiesta di formazione da parte di giovani donne che si approcciano al mestiere, “tanto che ormai mi trovo spesso di fronte a classi composte principalmente da ragazze. E questo ovviamente è imprescindibile dal nuovo modello di bakery che si sta lentamente diffondendo e che porta dei vantaggi in termini di work-life balance, per esempio, validi per tutti, ma, inutile negarlo, ancora oggi ancor di più per le donne”. È alle parole di Michela Giorilli, docente e segretaria operativa di Ambassadeurs du Pain Italia, che ci affidiamo per introdurre questa Power List dedicata al femminile nella panificazione, un concetto tanto moderno quanto arcaico, un ritorno alle origini ma con un approccio, una consapevolezza, una visione e un potenziale innovativo del tutto nuovo e peculiare.
Panificare come espressione culturale
Dello stesso avviso Laura Lazzaroni, autrice e consulente di panificazione. “Le donne che si dedicano a questo mondo raramente arrivano dirette a questo mestiere, ma portano con sé esperienze pregresse, talvolta molto distanti, che però lasciano un’impronta distintiva nel loro approccio al pane, rendendole interpreti originali. Trovo che l’approccio femminile alla panificazione, anche nelle scelte imprenditoriali, riveli una ricchezza di sfumature superiore a quella maschile”, ci racconta.
Come si manifesta questa specificità? “Innanzitutto, le donne tendono a considerare il pane come un punto di partenza, non di arrivo, utilizzandolo come base per molteplici iniziative e per creare sinergie con altre professioniste del comparto ma anche con altri settori. E poi nelle donne riscontro una grande attenzione alla filiera completa, evidenziando una forte consapevolezza non solo del mestiere e del processo, ma anche della sostenibilità di questo sistema, del suo ruolo nell’economia del mondo”.
Esemplare, in questo senso è la storia di Lucia Garbini, titolare assieme alla famiglia, dell’azienda agricola marchigiana Coste del Sole, oggi panificatrice ma arrivata al pane dopo una laurea in Economia e Commercio e anni di lavoro nell’arte contemporanea. Ma soprattutto, arrivata al pane come conseguenza di un percorso intrapreso nell’agricoltura rigenerativa, metodo che comprende diverse tecniche agricole volte ad aumentare la fertilità del suolo e la biodiversità, senza ricorrere a concimi, fertilizzanti o antiparassitari. Altrettanto importante in questa prospettiva è anche il coinvolgimento sociale delle comunità locali, promuovendo la cultura del prodotto a km zero, ma anche del benessere del proprio territorio.
Dalla terra alla terra (passando per il pane)
E se il tema delle filiera è centrale nelle istanze della nuova generazione di panificatori a livelli differenti – dall’acquisto consapevole alla presa in gestione di piccoli lotti di terreno – la creazione di un sistema circolare, che veda il pane come un punto fondamentale di una linea che parte dalla terra e alla terra torna, ne è l’estrema espressione. Tutto molto bello, eticamente valido e ispirante, ma è comunque di un modello di business che stiamo parlando ed quindi è interessante capire come questo modello possa reggere. “Per chi coltiva il grano in una prospettiva rigenerativa, venderlo ai mulini ai prezzi di mercato non comporterebbe una perdita di valore inaccettabile. L’unica alternativa è quindi valorizzare i propri grani producendo pane e promuovendone la cultura sul territorio, per massimizzare il profitto nel rispetto della terra, in un circolo virtuoso di auto-rigenerazione del sistema, essenziale per la sua sostenibilità” ci spiega Lucia.
Fondamentale in questa prospettiva il taglio dei costi. “Il nostro investimento iniziale si è concentrato sulla creazione di un terreno sano attraverso tecniche rigenerative, tagliando costi di concimi, fertilizzanti o antiparassitari. Certo, i tempi sono lunghi, dal 2009 l’azienda ha iniziato a essere operativa nel 2011, ma risparmiando da una parte abbiamo i fondi per investire sulla ricerca continua. Inoltre in un sistema rigenerativo le colture sono diversificate per preservare la biodiversità quindi abbiamo anche una produzione e un commercio di materie prime e prodotti che vanno oltre grano e pane, dall’erba medica al vino per esempio. Abbiamo poi accorciato tutte le distanze, quelle del molino con il quale collaboriamo, ma anche quelle del mercato a cui partecipiamo, che abbiamo avvicinato a ‘casa’ proprio per limitare i costi degli spostamenti. Ma non solo, questo calamitare tutte le attività attorno alla nostra azienda è anche funzionale a un radicamento nella nostra specifica zona, alimentando quello specifico mercato. Questo stretto controllo della filiera ci permette di vendere il pane a 6 euro al chilo, mentre lo stesso prodotto viene venduto a 12 euro a Milano o Venezia, anche da realtà che si riforniscono da noi. Inoltre, sempre in questo circuito virtuoso, cerchiamo di offrire una gamma di prodotti realizzati esclusivamente con le nostre materie prime, come olio d’oliva, olio di girasole e marmellate, e quando questo non è possibile acquistiamo solo da produttori locali che condividono i nostri valori. Per quanto riguarda il prodotto finito, posso dire che il nostro reddito principale deriva dalla vendita del pane, il nostro vero margine però lo otteniamo lavorando bene in campo”, conclude Lucia.
Panificatrici superstar
Volgiamo infine lo sguardo all’estero: “una prospettiva bellissima – sottolinea Laura Lazzaroni – ricca di esempi straordinari in tema di panificazione al femminile”. Partiamo dal micro, dalle cottage bakery statunitensi “realtà piccolissime, avviate tra le mura domestiche ma che, grazie a normative più favorevoli, sono diventate una realtà solida e molto diffusa” ci spiega Lazzaroni.
“Un esempio è quello di Bonnie Ohara, di Alchemy Bread in California, mamma single che ha trovato in questa attività un modo per conciliare lavoro e famiglia, persino con l’aiuto dei suoi figli”. Ma oltre alle microimprese, esistono anche esempi di attività imprenditoriali più ambiziose. “In tutta l’America e in Nord Europa troviamo donne che hanno costruito realtà di successo. Monika Walecka, a Varsavia ha una panetteria, una pasticceria e un sandwich shop, e sta per trasferire la sua attività in una sede più grande. E lei è una superstar, la conoscono tutti. Tornando negli Stati Uniti, nel Vermont, la coppia Andrew Heyn e Blair Marvin di Elmore Mountain Bread ha creato un’azienda floridissima producendo pani con grani locali, coltivati in biodinamica e macinati a pietra. E Blair è una delle principali protagoniste della panificazione americana, così come Sarah Owens che invece si occupa di formazione. Modelli, quelli esteri, che possono essere d’ispirazione per le panificatrici italiane, ma senza alcuna forma di sudditanza”.
“Infatti è vero anche il contrario – sottolinea infatti Lazzaroni –. Alle donne del pane in Italia è riconosciuta una marcia in più, ovvero la disponibilità di grani straordinari, un patrimonio di vecchie varietà unico al mondo, arricchito dal lavoro sulle popolazioni evolutive. Dobbiamo quindi sfruttare al meglio questo vantaggio per valorizzare i nostri prodotti a livello internazionale. Purtroppo, gli italiani non sono ancora bravi a promuoversi, a differenza degli americani, che credono fortemente nelle loro capacità imprenditoriali. Questo è certamente un aspetto su cui dobbiamo lavorare, ma tutti, donne e uomini”.