Pierre Marcolini: da sogno a realtà con coraggio

Pierre Marcolini è alla guida di un brand straordinario, oggi presente in nove paesi, con 45 boutique e oltre 400 addetti. Ha costruito un impero partendo dal nulla, guidato da passione, genialità, tanto coraggio e circondato da un team eccellente
Pierre Marcolini: da sogno a realtà con coraggio

La cioccolateria e pasticceria firmata Pierre Marcolini è stata scelta dalla Corte del Belgio, così come da Marylebone High Street, Harrods e Selfridges a Londra. Oggi la Maison di Pierre Marcolini è presente in ben 9 paesi con 45 filiali e a breve ci saranno nuove aperture in Cina e Giappone. Il segreto del suo successo? Una capacità imprenditoriale fuori dal comune e una squadra coraggiosa e instancabile. Dopo la conquista di diversi titoli mondiali, Pierre Marcolini si è rivelato un grande motivatore e un leader carismatico. Nel tempo ha saputo costruire un team di cui va estremamente orgoglioso, e al quale attribuisce, con umiltà, il vero segreto del proprio successo. Nel frattempo, Pierre Marcolini si mette in viaggio tra un continente e l’altro, per selezionare personalmente piantagioni e fave di cacao per il prossimo cioccolato, prodotto ‘Bean to Bar’.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

La tua passione per la pasticceria è iniziata molto presto, raccontaci come.
Ho scelto di diventare pasticciere a 14 anni. Come quando ci si innamora, non si riesce a spiegare il motivo.

Qualche pasticceria e qualche Maestro ti hanno ispirato?
Certo. La Bernachon di Lione, i grandi pasticcieri, come Gaston Lenôtre, che ha dato il via alla pasticceria e alla cioccolateria moderna. Ho degli amici pasticcieri italiani eccezionali, come Iginio Massari e Luigi Biasetto. E ancora il mio amico Fulvio Pierangelini, chef straordinario, che mi ha fatto scoprire l’Italia della gastronomia, la sua forza nel mondo, con i suoi ingredienti dalla qualità eccelsa.

Qual è il percorso creativo con cui sviluppi le tue Collezioni?
Tutto parte da un’idea, a volte stimolata da ricorrenze fisse. Il Natale o la Pasqua, o San Valentino in Giappone, la Festa della luna in Cina o il Ramadan in Medio Oriente. Poi cerco di sviluppare quello spunto, pensando agli ingredienti, alla forma, e alla storia che voglio raccontare. Lavoriamo con il sistema delle Collezioni, un po’ come succede nella moda. Intorno a me c’è un lavoro di équipe per ricerca & sviluppo e per il marketing, che a sua volta fornisce nuovi stimoli e tendenze da seguire. L’importante è sviluppare ogni nuovo progetto in modo coerente con ciò che siamo e con i valori dell’azienda.

‘Bean to Bar’: avete scelto di produrre voi il vostro cioccolato, non è semplice.
Grazie per la domanda: in effetti non è facile. Scelgo personalmente le fave di cacao. Sono appena tornato dall’Equador, ad esempio. Produciamo tutto il cioccolato a Bruxelles, in uno stabile di 2.500 mq. Siamo gli unici cioccolatieri che realizzano tutte le coperture: gran cru, fondente, al latte, bianco.

Dove siete nel mondo?
Il brand è presente in 9 paesi con 45 boutique, tutte filiali del Gruppo. Non è semplice entrare in mercati come quelli asiatici o del Middle East. Qui, ad esempio, sono vietati gli alcolici ed è necessario poter contare su un buon partner locale. I clienti non sono abituati a comprare soltanto 100 g di prodotto, bensì tre, cinque, anche dieci chili di cioccolato per una festa, come segno di abbondanza e di ospitalità. La Cina invece ha scoperto il cioccolato nobile solo da un ventennio. Non c’è ancora la cultura del prodotto. Bisogna spiegare, educare, informare i clienti continuamente, mettendo in evidenza che cosa ci rende unici. Il Giappone è molto esigente: il cioccolato dev’essere perfetto, dal gusto sincero, di dimensioni non troppo grandi. In questo paese siamo presenti da vent’anni, ora con 130 collaboratori.

Quali pensi siano i motivi del tuo successo planetario?
La prima chiave del successo è il mio team: persone motivate, con voglia di crescere. La seconda è procedere con modestia, mettendosi continuamente in discussione, senza sentirsi mai arrivati. Non sappiamo tutto, non possiamo fare tutto. Piuttosto, continuiamo a porci l’obiettivo di fare sempre meglio, di andare più lontano, di migliorare, con passione.

Un’espressione che ti rappresenta?
Una frase che mi piace molto e che utilizzo come modello è “Sogno e realtà: la sola porta che li separa è il coraggio”. Spesso le persone hanno dei sogni, ma non trovano il coraggio di buttarsi. Bisogna osare per prendere decisioni, per assumersi delle responsabilità, per partire.

Cosa consiglieresti a un giovane futuro pasticciere?
Rispetto al passato, oggi i giovani hanno delle risorse straordinarie a disposizione. Con i social e il web troviamo tante informazioni, che un tempo non erano così accessibili. Consiglierei di imparare assolutamente le lingue e ancora di uscire, uscire, uscire. Fare stage, esperienze, con motivazione, magari in paesi lontani, come gli Stati Uniti o il Giappone. Nei secoli passati i pasticcieri facevano il tour della Francia, vedi “Les compagnons Du Devoir”. Oggi è necessario fare il giro del mondo, immergersi e comprendere culture lontane dalla nostra, capire quanto le società vivano diversamente e quanto questo sia meraviglioso. Un ultimo consiglio. Esistono due tipi di pasticcerie. Oltre a quella ‘di boutique’ è importante conoscere per due o tre anni la pasticceria da ristorazione. Porta spunti nuovi, insegna a gestire lo stress, a coordinarsi con i tempi di uscita dei piatti, a scoprire nuovi gusti e abbinamenti. Le contaminazioni tra cucina e pasticceria sono incredibili.

Già dal 2009 lavori per la riduzione degli zuccheri, sei quindi un anticipatore di trend. Quali altre tendenze hai colto?
La prima: lavorare effettivamente con prodotti locali, ove possibile. La seconda: il ‘click and collect’, cioè la possibilità di ordinare online un prodotto e di ritirarlo in negozio. Siamo aperti dal lunedì alla domenica e riceviamo gli ordini dal web su prenotazione, proprio come si fa al ristorante. Solo il giovedì, ad esempio, si può proporre il dolce alle mele perché abbiamo a disposizione quella materia prima straordinaria. Terza tendenza: scegliere prodotti di stagione. E ancora: stop ai coloranti, stop al biossido di titanio. La pasticceria va nella direzione ‘più piccola, più intensa’. Credo che sarà il futuro. E, ovviamente, riduzione degli zuccheri: meno di un terzo rispetto al passato.

Cosa pensi della pasticceria italiana?
Ritengo che non abbia ancora del tutto espresso il proprio potenziale. È fatta di tanti gusti, è ricca, ha qualcosa di assolutamente magico. Dove trovi nel mondo dei prodotti straordinari come il pistacchio di Bronte o le nocciole delle Langhe? E poi, pensiamoci: qual è il dolce più venduto e amato al mondo? ll tiramisù. Chi non ama il tiramisù? Inoltre, mi piace quella parte di pasticceria italiana che ancora valorizza l’utilizzo degli ingredienti alcolici.

Può interessarti anche: “Ducasse punta sul cioccolato con Manufacture Du Chocolat”

© Riproduzione riservata