La verità, vi prego, sul gelato artigianale

La verità, vi prego, sul gelato artigianale

È un classico: arriva l’estate, si parla di gelato artigianale e si danno i numeri. Letteralmente. Articoli di giornale e trasmissioni televisive sfoderano fior di dati, classifiche e scoop inesistenti, puntando il dito contro un settore che – seppure diviso e con le sue difficoltà – resta un vanto del made in Italy

Le accuse sono quelle di sempre: il gelato non è più un prodotto artigianale e i professionisti impiegano ingredienti che non sono percepiti come naturali. Il gelatiere viene dipinto come un semplice utilizzatore di misteriose polverine prodotte da un’industria guardata con sospetto e diffidenza.
A fronte di una generalizzazione e banalizzazione del problema, le diverse realtà del settore non riescono a fare fronte comune per rispondere in maniera credibile. È di questa opinione Paolo Garna, ex direttore di Longarone Fiere – MIG, esperto del mondo della gelateria di cui parla regolarmente dal suo blog gelatonews.it. «Sarebbe importante che le associazioni dialogassero per affrontare i problemi di fondo del settore. Non esiste una normativa che regoli il comparto della gelateria artigianale e non credo che le proposte oggi sul tavolo arriveranno mai a diventare legge. D’altro canto il consumatore sa molto poco di come il gelato viene prodotto ed è facilmente influenzabile da notizie scandalistiche. Per questo, in un settore estremamente competitivo, non è importante solo lavorare bene, ma anche avere competenze imprenditoriali e saper comunicare nel modo giusto».

Gelato artigianale, tra immaginario collettivo e situazione reale
Il termine “artigianale” ha – secondo la nostra normativa – un significato ben preciso, legato al numero di dipendenti e al fatto che l’artigiano lavori attivamente alla produzione di un determinato bene; mentre non implica alcun riferimento a processi, ingredienti o distribuzione. «Si tratta di un termine dimensionale e descrittivo del tipo di lavorazione – spiega Fabrizio Osti, presidente di AIIPA – Gruppo Prodotti per Gelato -. Non è, e non dovrebbe essere, un attributo qualitativo. Noi, come AIIPA, riteniamo che la denominazione “produzione propria” sia più chiara per il consumatore che vuole sapere, in fondo, se il gelato è prodotto fresco nell’esercizio o acquistato da terzi. Le proposte di legge attualmente in discussione non rappresentano appieno la realtà del gelato come oggi viene prodotto in Italia. Il rischio, sicuramente, è quello di varare una norma che tuteli solo pochi gelatieri».
Eppure nell’immaginario collettivo il gelato artigianale ha un fascino tutto suo, come spiega Francesco Palmieri, gelatiere, docente e consulente di gelateria: «Il consumatore-sognatore immagina il gelatiere che di buon’ora, la mattina si tira giù dal letto per andare a comprare il latte, la panna, le uova, la frutta e tutto quello che serve per la produzione giornaliera del gelato. Poi nella sua bottega, con le sue mani, la sua sapienza e professionalità e con le ricette segrete tramandate di generazione in generazione trasforma i preziosi ingredienti freschi e genuini in prelibati gelati, sorbetti, granite. La realtà però è diversa dalla favola e giustamente sarebbe il caso di rivedere il concetto di gelato artigianale e di evolverne il significato nel contesto del XXI secolo». Secondo Palmieri è il momento di superare lo storico duello tra puristi e progressisti: «Nessuna delle due visioni riesce a centrare gli obiettivi che una regolamentazione dovrebbe raggiungere, ovvero tutela del consumatore e salvaguardia e promozione del gelato artigianale. Ritengo che si potrebbe tranquillamente arrivare a un compromesso e lasciare che alla fine sia il consumatore, con le sue scelte d’acquisto, a decidere quale sia il prodotto vincente».

Cosa c’è nella vaschetta?
Il fatto che un ingrediente sia prodotto dall’industria alimentare non implica che sia non naturale o di scarsa qualità. «Latte, panna, zuccheri, ingredienti composti e quant’altro viene utilizzato nella produzione del gelato proviene dall’industria – chiarisce Fabrizio Osti -. E, aggiungo, per fortuna è così. La filiera alimentare ha necessità di essere controllata per essere sicura. L’immagine romantica del gelatiere che si tosta il pistacchio e lo raffina, per fare un esempio, non tiene conto del fatto che quel prodotto dovrebbe essere analizzato poi per un eventuale carico di aflatossine. Tutta l’industria alimentare si basa su filiere che ne assicurano la qualità a monte, e così è per il gelato».

Zuccheri e grassi sotto accusa
Spesso a finire nel mirino dei media sono gli zuccheri, soprattutto quelli diversi dal comune saccarosio, ma la loro funzione nel gelato è fondamentale: «Oltre a conferire dolcezza e ad amplificare i sapori – prosegue Fabrizio Osti – grazie al loro potere anticongelante, permettono al mantecato di non granire. Insieme al saccarosio, si utilizzano altri zuccheri, con potere dolcificante inferiore, per ottenere gelati meno dolci, ma ugualmente morbidi. Il più comune è il destrosio, che si ottiene generalmente dal mais». Quanto ai grassi, il timore è sempre legato a quelli idrogenati. «AIIPA non entra nelle politiche delle singole aziende – chiarisce Osti – e lascia che operino liberamente nel rispetto delle normative italiane ed europee e non delle opinioni variegate che arrivano dai media. Oggi la maggioranza dei prodotti dei nostri associati non li contengono. Sta al gelatiere capire se sia il momento o meno di andare in quella direzione».

Additivi: il trend è naturale
Fanno “paura” anche neutri e basi che contengono i famigerati additivi, che suscitano tanto scalpore e indignazione. «Gli additivi – spiega il presidente Osti – sono contenuti normalmente nel neutro, che viene utilizzato in percentuali che variano dallo 0,3 allo 0,5%. La ragione della loro presenza nel gelato è quella di rendere stabile una struttura molto complessa. Questo accade per moltissimi altri alimenti: gli emulsionanti per esempio sono usati nel cioccolato, gli stabilizzanti nelle marmellate e nei budini… Non si capisce perché nel gelato creino così tanto rumore. Alcuni additivi sono naturali, altri no, ma la ricerca va nella direzione di prodotti sempre più naturali. Le aziende AIIPA offrono sia basi con additivi naturali, sia prive di additivi; sta al gelatiere capire se la richiesta di naturalità che arriva dai media è da seguire o se preferisce lavorare con prodotti e offerte più legate al proprio passato e magari anche al proprio successo».

Il problema è la comunicazione
Tra le tante accuse mosse al comparto del gelato artigianale una sola ha fondamento, la mancata trasparenza, da parte di una certa parte di professionisti rispetto al proprio modo di lavorare. Troppo spesso, infatti, si omette di esporre il cartello degli ingredienti che dovrebbe invece già essere sostituito dal libro degli ingredienti, dove si elencano, per ogni gusto, tutti gli ingredienti utilizzati. «La comunicazione al consumatore – chiarisce Fabrizio Osti – deve essere fatta in gelateria e il primo passo è quello di esporre il cartello degli ingredienti, come richiede la legge. Se il gelatiere ritiene che nel proprio cartello degli ingredienti ci sia qualcosa difficile da comunicare al cliente finale deve adoperarsi per capire come sostituire o escludere quell’ingrediente. È proprio su questi aspetti che il rapporto tra gelatieri e aziende di ingredienti riveste la massima importanza, dato che queste ultime hanno tutte le risposte necessarie per seguirlo nel percorso che lui ritiene più opportuno. Il gelato che il consumatore moderno chiede è disponibile già da diversi anni, basta rivolgersi alle aziende nostre associate».

Parola d’ordine: distinguersi
Ormai è assodato: stare rinchiusi nel proprio laboratorio, preparare il migliore dei gelati e venderlo in anonime botteghe non basta più. Il gelatiere artigiano oggi più che mai deve essere un imprenditore sicuro di sé e del suo prodotto, aggiornato, formato e in grado di informare correttamente il consumatore.
Alla qualità impeccabile del suo gelato deve affiancare una strategia di comunicazione che tenga conto dei nuovi media, ma non penalizzi il contatto diretto e umano col cliente. Deve saper proporre qualcosa di veramente nuovo, in termini di prodotto o di servizio. Non può aspettare il cliente fermo sulla porta del negozio, ma trovare il cliente giusto e convincerlo che il suo prodotto è perfetto per lui. Deve saper sfruttare tutte le nuove opportunità che il mercato gli offre e pronto a rispondere alle nuove esigenze del consumatore.

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