Grastro-economia

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San Sebastion 2012: Un grande carro di stelle per trainare la galassia del gastrocircus oltre le secche della recessione che attanaglia il sud Europa

Fra i più grandi cuochi del mondo, Andoni Luis Aduriz del basco Mugaritz, formidabile fucina di tecniche e concetti d’avanguardia, siede da 4 anni nel comitato tecnico del congresso Gastronomika di San Sebastian, fianco a fianco con mostri sacri quali Juan Mari Arzak, Martin Berasategui, Pedro Subijana, insieme alla direttrice Roser Torras. Un grande carro di stelle per trainare la galassia del gastrocircus oltre le secche della recessione che attanaglia il sud Europa. Alla vigilia della nuova edizione, che aprirà i battenti il 7 ottobre, le sue parole aiutano a leggere le trasformazioni in atto.

Dopo 4 anni è tempo di bilanci. La peculiare autogestione che contraddistingue Gatronomika evita l’eterogenesi dei fini che affligge molti congressi in giro per il mondo, dove il cuoco si riduce a ingranaggio di una macchina spettacolare. Quale obiettivo vi assegnate, oggi che il paradigma dominante non sembra più fondato su un’innovazione da mettere in scena e divulgare? Molti congressi gastronomici sono nati come semplici momenti di scambio commerciale, sulla scorta dell’entusiasmo di alcuni professionisti che storicamente non avevano mai condiviso nulla e anzi mantenevano ben segrete le proprie ricette come se si trattasse del loro tesoro più prezioso. Alcuni promotori di eventi gastronomici riuscirono a vederne il potenziale e sfruttarono il bisogno nonché l’ingenuità di un settore. San Sebastian Gastronomika è un incontro rivolto ai professionisti e che vuole dialogare con loro; accetta i rischi di tale dialogo e cerca di promuovere ciò che non si sarebbe mai dovuto perdere, ossia valori quali la sincerità, la generosità, la diversità e la trasparenza. Tutto ciò che rientra nell’ambito di tali caratteristiche sarà accettato a San Sebastian. Mentre la polemica, la morbosità e le controversie artificiali che contribuivano a vendere più guide o biglietti, appartengono ormai al passato.

Come supplite allo sguardo estraneo del gastronomo, nella selezione dei giovani talenti e nell’individuazione delle tendenze? Penso in particolare all’Italia: Massimo Bottura è sicuramente il nostro chef più acclamato, ma c’è una giovane generazione che forse meriterebbe i riflettori, da Parini a Cogo, che pure si è formato con Victor Arguinzoniz, fino a Christian Milone. L’Italia, come del resto anche la Spagna, è un paese che possiede una ricchezza culinaria enorme. Ciò si converte senz’altro in un’ottima fonte d’ispirazione per progredire, ma tende anche a favorire posizioni molto conservatrici. Fra i due estremi della tradizione e dell’avanguardia vi è tutto un mondo, e si trovano cose tanto positive quanto negative. Non è certo facile sapere chi eccellerà e chi ha qualcosa da dire. È necessaria la presenza di esperti e di persone che possiedano la sufficiente esperienza per identificare i giovani talenti. I tempi che corrono, tuttavia, non sono proprio i più idonei per il giornalista navigato che ama approfondire: siamo piuttosto nell’epoca del borsista sempre di fretta, del titolo vistoso, del conservatorismo estremo e degli interessi incrociati.

Quest’anno assisteremo a un bel defilé di star transalpine. Il riconoscimento di una genealogia misconosciuta, considerato il tuo legame con Michel Bras e i ripetuti omaggi di Ferran Adrià alla nouvelle cuisine. Quest’anno il paese ospite è la Francia e l’organizzazione di San Sebastian Gastronomika ha cercato di rendere possibile qualcosa che fino a non molto tempo fa era quasi una chimera: riunire in un unico evento temperamenti, stili e caratteri francesi estremamente diversi. Alcuni lo considereranno un programma contraddittorio, ma sicuramente rispecchia la realtà della cucina della Francia di oggi. Come si può osservare, considerando gli interventi previsti, si è tenuto conto del passato senza per altro avere il timore di sfidare il futuro.

La tecnica è sempre stata la matrice creativa dei tuoi piatti, sorta di cellula staminale che governa il processo creativo. Sarà al centro anche del tuo prossimo intervento? Qualche giorno fa ci ha fatto visita un importante giornalista gastronomico dei Paesi Baschi. Mi ha rammentato un pezzo che scrissi qualcosa come otto o dieci anni fa, nel quale ipotizzavo un futuro nella cucina di Mugaritz fondato sulla semplicità, sull’austerità e sulla moderazione. Mi ha sorpreso il fatto che quel giornalista me l’abbia citato perché io non me lo ricordavo affatto, forse perché tale idea è divenuta naturalmente una parte integrale del mio modo di pensare. In realtà, ritengo che le basi di ciò che è Mugaritz oggi e di ciò che sarà nel futuro, siano scritte fin dall’inizio, anche se, come tutti i progetti, è in costante evoluzione. Quest’anno, per esempio, ci siamo spinti a esplorare oltre i sapori, le texture e le temperature. Cuciniamo anche pregiudizi, storia, omaggi, dubbi, complicità e molta imprevedibilità.

Il tema dello scorso anno è stato l’impegno, nel senso ecologico e comunitario che connota la travolgente ola sudamericana. Credi che la cucina possa giocare un ruolo nella crisi che accomuna la Spagna e l’Italia? Ho sempre pensato che la cucina e i ristoranti siano uno specchio fedele della società e della loro epoca. In questi ultimi anni di abbondanza, lo spreco non è stato solo economico. Le valute sperperate sono state infatti anche l’insolenza, il cinismo e la goffaggine: lo si è potuto vedere nella politica, per la strada, nelle aziende e, naturalmente, anche nella gastronomia. Ora più che mai è giunto il momento di innovare e ricorrere a valori che non sarebbero mai dovuti essere abbandonati, e non solo nell’ambito della gastronomia, ma anche in tutti i livelli della vita.

E quale futuro intravedi per la cucina nell’Europa che sarà? Alcuni considerano l’alta ristorazione come una lingua ormai priva della sua forma di vita, destinata quindi all’estinzione. Negli anni bui della storia, l’arte non è scomparsa. L’essere umano ha bisogno di linguaggi e di meccanismi che gli permettano di trascendere. Come ho già sostenuto, ho sempre creduto nell’alta cucina e, soprattutto, nelle spinte creative che la muovono. Fintanto che qualcuno riesce a dar forma a un’idea attraverso il cibo, esisterà l’alta cucina d’avanguardia.

Sono fenomeni da inserire nel contesto generato dall’uscita di scena di Ferran Adrià, che sembra avere ricalcato i passi di Duchamp e Mallarmé, scegliendo il silenzio dopo avere portato al limite estremo la sua forma di espressione. In Italia si ha l’impressione che a prevalere non siano paradigmi alternativi, quali la bistronomia o il chilometro zero, quanto una sorta di anarchia. Per cui la fila indiana in cui procedevano i cuochi, ordinati in base alla velocità, si è spezzata nella libertà delle fughe soggettive, parallele, indipendenti. Pluralistiche insomma. Bisogna riuscire a  osservare e a interpretare i fatti nel loro contesto. Durante gli ultimi decenni abbiamo vissuto una rivoluzione senza precedenti che ha permesso di sperimentare come non si era mai riusciti a fare, nel corso della storia della cucina. Molti chef hanno sfruttato tale situazione per esplorare linguaggi nuovi, mentre altri cercavano semplicemente una porzione di dominio nell’universo culinario e/o aziendale. Sono stati compiuti molti passi falsi e ci sono anche state esagerazioni, ma nessuno potrà negare che in questo periodo la gastronomia abbia allargato i confini e siano accadute cose meravigliose. Chi potrebbe confutare che stiamo attraversando un momento caratterizzato dalla recessione economica e ideologica nonché dalla mancanza di fiducia? È assodato, d’altro canto, che l’avanguardia si ritrae e si manifestano con forza posizioni conservatrici. Ma io sono ottimista, perché so che i cicli si alternano e che nelle cucine c’è molto talento in attesa che gli venga offerta un’opportunità.

di Alessandra Meldolesi



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