La riscossa del pane artigianale

La riscossa del pane artigianale

Costante incremento di produzione e ricerca di qualità: ecco una proposta per affrontare la crisi

Giovanni Larghetti inizia nel 1981 a coltivare cereali e foraggio con il metodo biologico e biodinamico nella propria azienda agricola a Frontino. Recupera colture come quella del farro, del kamut, della segale e del grano. Dal 2001 inizia una grande scommessa: un forno a legna con lavorazione a lievitazione naturale solo a pasta madre. Qui oggi lavorano 12 dipendenti specializzati e si producono 10/12 quintali di pane al giorno, avvalendosi dell’informatizzazione del laboratorio. «Ho deciso d’investire in una passione che lega la tradizione famigliare del pane fatto in casa ai miei studi di biodinamica. Qualunque lavorazione artigianale è di altissima qualità, quando la ricerca permette di produrre ai livelli più alti consentiti dalle conoscenze scientifiche. Molto importante per noi è il dibattito sulla salute e sul gusto, perché senza una crescita culturale di tutta la società, nessuna attività produttiva di eccellenza può prosperare. I nostri pani sono ottenuti con cereali che coltiviamo senza prodotti chimici, maciniamo a pietra nel mulino ad acqua Ronci a Pontemessa nei pressi di Pennabili, in provincia di Pesaro Urbino e panifichiamo nel forno a legna di Frontino. Tutti i nostri pani sono formati a mano, dopo una lenta e ripetuta lievitazione con pasta madre, senza nessun lievito aggiunto, per 15 ore. Abbiamo cercato di adattare le ricette alle esigenze di coloro che vogliono gustare i sapori autentici dei cibi, non camuffati da coloranti, correttori o miglioratori. Tutti gli ingredienti utilizzati sono biologici, certificati dall’Istituto Mediterraneo di Certificazione. Non usiamo né grassi idrogenati né dolcificanti artificiali». Gli obiettivi? «Lavorazione il più possibile manuale; tutela della salute di chi lavora con noi e di chi consuma i nostri prodotti; utilizzo 100% di ingredienti biologici escludendo qualunque additivo di sintesi anche se concesso dalla normativa sul biologico; lievitazione a pasta acida; cottura in forno riscaldato con legna direttamente sulla piana di pietra; massima trasparenza delle informazioni sul ciclo produttivo, cercando di anticipare le richieste del mercato e della legislazione; contenimento dei prezzi finali al consumatore contro l’esclusione delle fasce di reddito basse dall’alimentazione di qualità; utilizzo di imballaggi e materiali di consumo al minimo impatto ambientale possibile». I pani più venduti? «Ne produco circa 20 tipi. I più richiesti sono: il pane casereccio, con semi di zucca e naturalmente con pasta madre. Ho cercato di proporre prodotti che esprimessero i desideri del consumatore, che ricercano meno calorie rispetto al passato. Nei punti vendita organizziamo diversi momenti di degustazione, per spiegare come scegliamo le farine in modo che le proposte siano più ricche di fibra, il valore nutrizionale del pane». Artigianalità e GD come riescono a convivere?«Noi produciamo quantitativi per una produzione di nicchia e facciamo un grosso sforzo per la distribuzione, che è costosa quasi quanto la produzione. Io voglio continuare a servire la GD per fare conoscere il mio pane e l’alto valore del pane biologico. Con grandi sacrifici sono riuscito a farlo apprezzare in tutte le Marche e per poterlo fare non potevo che appoggiarmi a una grande catena come la Coop». Le hanno imposto regole particolari? «Nessuna, se non quelle richieste a tutti, come il rispetto delle norme sanitarie per il trasporto o l’orario nelle consegne». Rischi e vantaggi nel lavorare con la GD? «Il pericolo maggiore è quello di essere travolti da un sistema che è più grande di te. Il vantaggio è di farsi conoscere da molti consumatori. Io ci sono riuscito e grazie al successo ottenuto riesco a sostenere le spese per la consegna in città lontane da Frontino».

Lusignani e il recupero della filiera dei grani antichi
I Fratelli Lusignani difendono da sempre la produzione del pane tradizionale, legato al territorio. La loro proposta è un “pane pellegrinese” a lievitazione naturale acida, ottenuto da una selezione di grani antichi coltivati da fine 800 fino agli anni ’50. Dal 1999 portano avanti un progetto volto a recuperare le antiche varietà di grano scomparso, tra cui il Gentilrosso, l’Avanzo e il Marzuolo. L’obiettivo è quello di superare quella fase che negli anni ‘60 ha portato molti panificatori ad abbandonare l’arte di fare il pane, per scegliere metodi di produzione più veloci, che hanno fatto perdere il gusto e la varietà legata al territorio, provocando un’omologazione che ha ridotto le distanze tra il prodotto industriale e quello artigianale. «Si tratta – ci dice Gianni Lusignani – di recuperare quell’unicità del pane legato alle caratteristiche del proprio territorio. Nessuna proposta è riproducibile in altro luogo: cambia l’acqua, il grado di umidità, la tipologia dei grani, ecc. La professionalità di molti fornai è stata perduta, l’artigianalità si conquista sul campo ogni giorno e la si ottiene grazie al riconoscimento del cliente che premia la qualità. Oggi l’industria ci tiene sotto osservazione, sta facendo una seria ricerca per recuperare quelle tradizioni che proprio noi abbiamo abbandonato. Molti fornai hanno sposato la globalizzazione e così, abbandonando le produzioni locali, hanno imposto sul mercato pani di regioni lontane, favorendo un cambiamento del gusto e del sapore. È un errore far perdere la memoria dei prodotti della propria terra, soprattutto in un momento di crisi, quando la valorizzazione del territorio può diventare un utile modo per ritornare ad essere protagonisti di un mercato che sta rapidamente cambiando».
Che cosa va recuperato? «L’utilizzo del lievito naturale, la macinazione a pietra, il forno a legna, l’attenzione nella scelta dei grani e delle farine».
Voi proponete il vostro pane anche nella GD. Come siete riusciti a conciliare la vostra proposta con le esigenze commerciali dei supermercati? «Tutto dipende come entri. Se sono loro ad avere bisogno di te, se riconoscono che il tuo nome è conosciuto ed apprezzato dai clienti, acquisisci una posizione forte e rispettata. Certo non si può evitare il pericolo che il rapporto sia sciolto, ma noi siamo riusciti a fargli comprendere il valore del nostro prodotto e della nostra immagine, che ci ha portati a essere conosciuti in tutta la provincia di Parma. Coop e Conad ci hanno creduto e ora, attraverso loro, raggiungiamo l’intera provincia di Parma. Ci ha premiato la qualità, il recupero della filiera, la capacità di raccontare attraverso il pane una storia legata alle nostre radici e di suscitare emozioni forti».
Regole imposte? «Nessuna. Le nostre tre linee – biologico, forno a legna e grani antichi – sono prodotti senza alcun tipo d’interferenza». Consiglia ai suoi colleghi di seguire la vostra strada? «È una strada difficile, oggi molti supermercati producono direttamente, occorre ricercare la qualità totale, proporre pani particolari, imporsi come immagine. Io credo nel recupero della filiera e per il futuro prevedo che avrà successo la vendita del pane nei mercati, come già avviene in Austria e in Germania. La figura del panificatore si avvicina a quella dell’agricoltore. Oggi hanno molto successo i mercati gestiti direttamente dai contadini o dalle loro associazioni. Se il panificatore proporrà il suo prodotto in furgoncini attrezzati, se assicurerà la qualità, potrà sfruttare una nuova formula di commercializzazione».

(Ottobre 2010 – Isabella Santoni)

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