I segreti della lievitazione

I segreti della lievitazione

Il processo lievitativo è determinato dalle trasformazioni biochimiche operate da lieviti (funghi formati da un unico tipo di cellula eucariota) e da batteri lattici (Lactobacilli e Streptococchi).
In un impasto di farina e acqua questi microrganismi favoriscono la fermentazione degli zuccheri con produzione di anidride carbonica, acido latticoacido propionico, alcolacido acetico.
L’insieme di questi processi biologici sono comunemente definiti “fermentazione” e costituisce la parte saliente nel processo di produzione delle masse lievitate.
Il gas (anidride carbonica) rimane intrappolato nel reticolo proteico del glutine e forma bolle che fanno aumentare di volume e rendono soffice l’impasto (processo di lievitazione).
I microrganismi che si sviluppano nell’impasto acido producono, durante la fermentazione, sostanze che determinano l’aroma, la digeribilità e la conservabilità delle masse lievitate a pasta acida. Dalla fermentazione dei lieviti e dei batteri lattici ha origine anche una sostanza che contribuisce a rallentare il raffermamento del prodotto: la glicerina, che funziona da emulsionante naturale ed ha anche un lieve effetto antimuffa.
La lievitazione può essere ottenuta con estratti ricavati da altri alimenti, come il vino e la birra.
Ancora oggi, il lievito compresso (Saccharomyces cerevisiae) viene utilizzato per la panificazione. In questo caso, però, la lievitazione innesca una fermentazione prevalentemente alcolica. Nella produzione delle masse lievitate, la miglior lievitazione, invece, rimane quella acida, lenta e naturale, che sfrutta la capacità di fermentazione intrinseca alla farina. Questa lievitazione, infatti, sia per l’ambiente acido in cui si svolge sia per il tempo impiegato, è in grado di far agire le fitasi, enzimi che inattivano l’acido fitico, un composto presente nella parte corticale del grano, che tende ad impedire l’assorbimento da parte dell’intestino di alcuni importanti minerali fra cui il calcio, il ferro, il magnesio e lo zinco.
I VARI TIPI DI FERMENTAZIONE:
LATTICA: fermentazione batterica assai preziosa, poiché grazie all’acidità si produce un gusto gradevole ed un buon grado di digeribilità e di conservabilità degli alimenti.
Viene eseguita dalla classe dei batteri chiamati lattobacilli, in grado di trasformare il glucosio in acido lattico in un ambiente privo di ossigeno (trasformazione anaerobica). Questi tipo di trasformazione viene eseguita anche nella nostra muscolatura, quando eseguiamo uno sforzo che supera le disponibilità di ossigeno del muscolo.
PROPIONICA: è la trasformazione dell’acido lattico in acido propionico ed anidride carbonica. Acido presente anche nel nostro intestino, prodotto dalla flora batterica per fermentazione delle fibre solubili introdotte con gli alimenti. E’ importante poiché inibisce l’HMGC CoA reduttasi, un enzima chiave nella sintesi del colesterolo.
ALCOLICA: Viene eseguita da lieviti (Saccaromiceti) che trasformano gli zuccheri in alcol. (trasformazione anaerobica).
Durante il processo di fermentazione i lieviti producono anche un‘altra ampia gamma di sostanze, dall’acido succinico ad esteri aromatici (combinazioni di acidi ed alcol), prodotti solforati che ricordano il profumo affumicato. Inoltre durante tutto il processo le cellule di lievito in parte muoiono, ed il disgregarsi di queste nell’alimento lo integra soprattutto di vitamine del gruppo B, aumentandone il valore nutrizionale rispetto agli ingredienti di partenza.
ACETICA: è una fermentazione secondaria alla fermentazione alcolica, in cui l’alcol viene trasformato in acido acetico da batteri acetici in presenza di ossigeno. La fermentazione avviene perciò sulla superficie del liquido, dove i batteri acetici formano, insieme ad altri microrganismi, una pellicola chiamata “madre”. L’acido acetico è un conservante molto efficace, inibendo la crescita della maggior parte dei microbi anche del temuto Clostridium botulinum, già ad una concentrazione di 0,1%. (= 1 cucchiaino da tè in una tazza d’acqua).

Nota: La struttura chimica dell’acido acetico è molto più simile a quella di un grasso che non all’acqua, e per questo è molto efficace come detergente per sgrassare superfici e stoviglie ma anche per rimuovere odori indesiderati, perché le molecole aromatiche degli alimenti sono chimicamente dei grassi.

Inutile dire che la lievitazione chimica operata spesso nelle industrie alimentari al giorno d’oggi, soprattutto per i prodotti dolciari, usando acido tartarico e bicarbonato sodico o ammonico per produrre anidride carbonica (lievito chimico), ha ben poco da spartire con i processi fermentativi naturali in grado di rendere più assimilabile l’amido e di incrementare i contenuti proteici, enzimatici e vitaminici delle farine.
Sono impiegate diverse tipologie di lievitazione in funzione dei prodotti che si vogliono realizzare. Schema orientativo:

LIEVITAZIONE CHIMICA
→ BAKING [risultato rustico ma con bolle regolari]
Frolla (mai mettere con il burro poiché
prodotti in cui la lievitazione è ottenuta con sostanze chimiche che producono anidride carbonica
→ BICARBONATO DI SODIO
saponifica. Miscelare sempre con Farina)
→ BICARBONATO D’AMMONIO [ris.Rustico-bolle irreg.]
Pan di spagna, muffin, Plum cake
→ CREMONTATA

LIEVITAZIONE BIOLOGICA
→ LIEVITO COMPRESSO
Molto usato in panificazione e pasticceria: per PANE, PANETTONI, BRIOCHES, PIZZE, COLOMBE,
In definitiva, fatta eccezione per le lievitazioni fisiche e per evaporazione, la porosità ed il rigonfiamento del prodotto vengono ottenuti principalmente dall’anidride carbonica prodotta dal lievito naturale o industriale, o dalla reazione di sostanze chimiche per mezzo del calore o di altri mezzi fisici.
Mentre nella produzione di anidride carbonica con reazioni chimiche non si hanno modifiche dei componenti presenti nelle materie prime miscelate per ottenere l’impasto, l’ottenimento dell’anidride carbonica per via biologica richiede che i lieviti utilizzino in parte i componenti dell’impasto trasformandoli in sostanze chimicamente più semplici, che quindi conferiscono ai prodotti lievitati con tali sistemi proprietà nutritive e aromatiche caratteristiche.

I funghi noti come lieviti sono microrganismi d’enorme importanza economica. Queste specie sono usate in tutte le parti del mondo nel processo di panificazione per la produzione di pane, pizze, prodotti da forno dolci ecc. e per la produzione di bevande alcoliche fermentate (vino, birra, sakè, e sidro); alcuni lieviti sono contaminanti ma solo pochi sono ritenuti patogeni.
In generale sono microrganismi mesofili (caratteristica in base alla temperatura) con un optimum di temperatura tra 23 – 30°C, un massimo a circa 40°C ed un minimo che si aggira intorno a 0°C – +5°C. Un optimum di pH compreso tra 4 – 4.5 (poiché il batterio Botulinum è inibito) con un minimo ad un valore di circa pH =3 ed un massimo intorno a 7. Generalmente tollerano bene ambienti con concentrazioni zuccherine intorno a 20 – 25%, al di sopra delle quali si creano elevati valori di pressione osmotica che provocano prima un rallentamento dello sviluppo e successivamente la morte della cellula stessa; solo il genere Zygosaccharomyces risulta essere in grado di sopportare concentrazioni zuccherine al di sopra del 60%. Risultano pertanto microrganismi osmofili ma non alofili cioè non sono in grado di resistere anche a concentrazioni modeste di sale.
Le considerazione che farò in seguito valgono non solo nello specifico per il Saccharomyces cerevisiae o lievito compresso o conosciuto più semplicemente come lievito da pane ma in generale per quasi tutti i lieviti. (salvo eccezioni!) In generale, i fattori che influenzano l’attività fermentativa dei lieviti possono essere riassunti in:
· Temperatura
· Presenza di ossigeno
· pH (acidità)
· concentrazione elevata di alcool (questo fattore interessa maggiormente i lieviti utilizzati in vinificazione)
· presenza di zuccheri
· sostanze capaci di bloccare lo sviluppo dell’attività fermentativa ( es presenza di sale)
Temperatura
Considerando il primo fattore si può dire che i lieviti sono esseri viventi per cui la loro vita durante la conservazione è influenzata, tra l’altro, dalla temperatura. Temperature elevate determinano l’autolisi delle cellule del lievito, cioè causano l’”autodistruzione” delle medesime. A 50 – 60°C questi microrganismi muoiono in brevissimo tempo.
In teoria il lievito compresso potrebbe essere congelato senza che vengano danneggiati i suoi enzimi e/o la struttura cellulare; in pratica, durante il congelamento ed il conseguente scongelamento potrebbe andare incontro a “liquefazione” come conseguenza del danneggiamento subìto dalle cellule durante l’intero processo.
Si consiglia pertanto di non utilizzare mai il lievito appena tolto dal frigorifero o dal congelatore ma di portarlo gradatamente alla temperatura di lavoro; così facendo si permette alle cellule di Saccharomyces cerevisiae di uscire dallo “stress” causato dal freddo e di rivitalizzarsi prima di operare il processo fermentativo. La conservazione del Saccharomyces cerevisiae è variabile e può durare; 5 giorni a 30°C, 15 giorni a 20°C, 1 mese a 10°C e 2 mesi a 0°C.
Tutte le reazioni chimiche che avvengono durante la fermentazione producono calore (sono cioè esotermiche) ed il riscaldamento dell’impasto non è sempre compatibile con uno sviluppo ottimale dei lieviti in quanto aumentando la temperatura si aumenta il metabolismo della cellula quindi si incrementa il fabbisogno energetico che viene soddisfatto “bruciando” i carboidrati di riserva, le proteine ecc. A questo punto si va incontro ad autolisi cellulare cioè alla distruzione della cellula. Questo è il motivo principale per cui a “cuore” delle bighe e/o degli impasti in generale, vi è una temperatura più elevata che non all’esterno!

La maggior parte dei lieviti si sviluppa molto bene tra i 20°C ed i 30°C Inoltre per ogni incremento di grado tra i 20 – 30°C si ha un aumento dell’attività fermentativa. Si ricorda però che, oltre i 40°C, il metabolismo del Saccharomyces cerevisiae risente dell’eccessivo riscaldamento dell’impasto a tal punto da arrestare la fermentazione; temperature prossime allo 0°C determinano invece un rallentamento dall’attività fermentativa.(Fenomeno evidente nelle celle di ferma-lievitazione e non solo!, in cui la temperatura nella fase di mantenimento viene fissata a +1°C – +2°C)
Ossigeno
In generale i lieviti metabolizzano cioè trasformano gli zuccheri semplici attraverso due vie:
· via aerobica: in presenza di ossigeno
· via anaerobica in assenza di ossigeno.
In condizioni di aerobiosi cioè in presenza di ossigeno, i lieviti operano quindi la respirazione trasformando gli zuccheri semplici in anidride carbonica, acqua e massa cellulare. In condizioni di anaerobiosi (cioè in assenza di ossigeno) i lieviti operano la fermentazione alcoolica producendo alcool etilico e anidride carbonica oltre ad altri metaboliti secondari responsabili delle caratteristiche organolettiche del prodotto finito.
Nell’impasto avvengono entrambi questi metabolismi; nell’impasto aerobio, cioè durante l’impastamento e la fase immediatamente successiva, il lievito cresce e si riproduce molto rapidamente operando la respirazione. Quando tutto l’ossigeno presente nell’impasto è stato consumato, le cellule del lievito operano la fermentazione alcoolica cioè, da questo punto in avanti, il Saccharomyces cerevisiae produrrà anidride carbonica ed alcool etilico.
Riassumendo a grandi linee l’azione del Saccharomyces cerevisiae nella tecnologia di panificazione si può affermare che svolge le seguenti funzioni:
· responsabile della produzione di anidride carbonica.
· responsabile della produzione di metaboliti secondari responsabili del classico aroma e sapore del pane.
· responsabile della maturazione dell’impasto.
Va pertanto ricordato che queste funzioni non sono separate e distinte ma strettamente correlate tra di loro. Effettivi negativi sul prodotto si possono notare non solo se il lievito è utilizzato in dosi eccessive ma soprattutto se è utilizzato in dosi notevolmente inferiori a quelle consigliate a tal punto che si può arrivare al “marciume” dell’impasto per un “eccesso di debolezza” con sviluppo di odori sgradevoli nella mollica del prodotto finito, riduzione di volume ed ispessimento della crosta, pesantezza e presenza di spaccature irregolari della crosta.
Il pH
Il valore del pH raggiunto dall’impasto acido è estremamente importante per una buona riuscita del prodotto finale. È proprio dal grado di acidità che dipende l’attività enzimatica e di conseguenza quelle caratteristiche di grana e tessitura della mollica, di colorazione della crosta, di aroma e resistenza al raffermamento che caratterizzano il prodotto finito. Ottimale per i diversi tipi di prodotti da forno (Panettone, Colomba, Pandoro ed altri) è un pH intorno a 4,8.
Concentrazione elevata di alcool (questo fattore interessa maggiormente i lieviti utilizzati in vinificazione)
Il vino viene prodotto a partire da soluzioni zuccherine ottenute dallo schiacciamento del grappolo d’uva lasciate a fermentare con i lieviti unicellulari del genere Saccharomyces presenti sulla buccia dell’acino o provenienti da colture selezionate.
A seconda delle condizioni di fermentazione, si differenziano le qualità organolettiche (colore, sapori, aromi…) del vino caratteristiche che si arricchiscono ulteriormente durante le fasi successive di lavorazione.

Il lievito in condizioni anaerobiche trasforma 100 grammi di zucchero in 51,1 di alcool etilico con un rendimento in volume del 65.5%. Questo è un rendimento ideale, nella realtà una parte dello zucchero disponibile è utilizzata dal lievito per moltiplicarsi, inoltre durante la fermentazione i lieviti del mosto producono, oltre l’alcol e l’anidride carbonica, anche prodotti secondari (glicerina, acido acetico, acido succinico) che contribuiscono a caratterizzare l’aroma del prodotto finito. Il rendimento reale quindi si approssima al 60% in volume.
Presenza di zuccheri
Nutrimento per l’azione fermentativa dei Saccharomyces cerevisiae.
Presenza di sale
Il cloruro di sodio a concentrazioni superiori al 2% svolge un’azione inibitrice sui lieviti. Infatti è consigliabile aggiungere il sale solo quando l’attività dei microrganismi è al massimo livello; spesso viene, infatti, utilizzato per rallentare la fermentazione e diminuire l’idrolisi dell’impasto.
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Come visto in precedenza la crescita e lo sviluppo del lievito dipendono da molti fattori; variando tali condizioni si possono ottenere delle alterazioni della attività metabolica del Saccharomyces stesso. Alcune di queste vengono schematizzate e riassunte di seguito:

LIEVITO COMPRESSO

Si tratta di un fungo microscopico formato da colonie di un microrganismo chiamato Saccharomyces cerevisiae ottenibile per fermentazione. Le cellule del lievito, ottenute da ceppi selezionati, vengono coltivate su un substrato di malto (orzo germogliato) nei fermentatori dove si moltiplicano migliaia di volte. Alla fine di tale processo esse vengono separate dal substrato nutritizio, lavate ed essiccate ad una temperatura che non supera i 40 gradi. Il lievito quindi è un componente chiave per i prodotti da forno, anche se si usa in piccole quantità rispetto agli altri ingredienti dell’impasto.

Poiché nel genere Saccharomyces esistono specie che non hanno uguale attività fermentativa, è necessario conoscere che il S. cerevisiae trasforma per fermentazione il glucosio ed il fruttosio producendo anidride carbonica ed alcool.
Questi due zuccheri derivano dall’azione degli enzimi sulle strutture più complesse (molecole) di altri tipi di zuccheri quali il saccarosio (il comune zucchero), il maltosio (presente nel malto), l’amido (presente nella farina) o altri zuccheri simili.

Gli enzimi presenti nelle farine o nel malto diastasico (am

ilasi), scindono l’amido in destrosio e maltosio, i quali a sua volta, vengono trasformati dagli enzimi presenti nelle cellule dei lieviti in glucosio e fruttosio che finalmente vengono trasformati in anidride carbonica ed alcool.
Se nella fermentazione alcolica la formazione di etanolo (alcool) e di anidride carbonica rappresentano la principale caratteristica dei lieviti fermentanti, altre attività biochimiche sono di fondamentale importanza per lo sviluppo di sostanze arom

atiche e nutritive; tra queste importantissima è la formazione di acidi da parte dei batteri lattici e acetici.
Il lievito compresso viene usato nella lievitazione in due tempi o nel metodo diretto, che prevedono un metodo di lavorazione più breve e più semplice.

LIEVITO MADRE
Il lievito naturale, chiamato anche lievito acido, pasta acida, lievito madre, pasta madre e crescente, è un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici che sono in grado di avviare la fermentazione. A differenza del cosiddetto lievito di birra, il lievito naturale comprende, tra i lieviti, diverse specie di batteri lattici eterofermentanti ed omofermentanti del genere Lactobacillus. La fermentazione dei batteri lattici produce acidi organici e consente inoltre una maggiore crescita del prodotto e una maggiore digeribilità e conservabilità.
Si creano lieviti naturali che sono:
• Lactobacilli a fermentazione lattica ed acetica = responsabili del gusto e della conservazione
• Saccaromiciens cerevisiae in piccola quantità = responsabili della crescita
L’importanza di questi fermenti, sta nella loro capacità di fermentare gli impasti:
• Si nutrono e moltiplicano (aumentano di numero in modo progressivo) metabolizzano gli zuccheri semplici derivati dagli amidi innescando la fermentazione alcoolica che avrà come risultato la produzione di anidride carbonica ed alcool etilico, responsabili del rigonfiamento degli impasti che avviene durante la fase di lievitazione
• Producono enzimi che trasformano le molecole complesse in molecole semplici (amidi in zuccheri, acidi acetici e lattici, aldeidi aromatiche)
Anche se il processo di lievitazione con LIEVITO MADRE avviene, per grandi linee, in maniera uguale rispetto all’utilizzo del lievito compresso, il lievito madre tuttavia, presenta delle differenze che vanno ad incidere sulle caratteristiche dei prodotti finiti.
I saccaromiceti del lievito naturale, a causa del sistema con cui quest’ultimo viene ottenuto, sono sempre accompagnati da fermenti lattici ed acetici e da altri (fermenti butirrici – resp. del sapore di formaggio) che non sono ovviamente presenti nelle colture selezionate, e quindi più pure, del lievito industriale compresso.

La presenza dei fermenti lattici ed acetici fanno avvenire, durante la lievitazione dell’impasto, fermentazioni collaterali a quella dei saccaromiceti , con formazione di acido lattico ed acetico. La presenza di questi due acidi in una giusta proporzione, cioè in un rapporto lattico acetico di – 3lattico : 1acetico – , dà all’impasto un’acidità maggiore di quella riscontrabile con l’impiego del lievito compresso.
Temperature più basse contribuiscono allo sviluppo di acido acetico, mentre quelle alte favoriscono lo sviluppo di acido lattico.
Tale acidità provoca: una maggiore durata di freschezza del prodotto e un’azione inibente verso lo sviluppo di microrganismi parassitari quali le muffe ed il Bacillus mesentericus (responsabile del cosiddetto pane filante). L’impiego dell’uno o dell’altro tipo di lievito determina una durata di fermentazione differente e, quindi, una diversa conduzione del processo. Il lievito naturale viene usato con fermentazioni lunghe. La maggiore durata del processo con il lievito naturale permette un’azione più prolungata degli enzimi proteolitici (che attaccano il glutine) che, quindi, rendono il prodotto più ricco in composti azotati più semplici delle proteine, quali gli aminoacidi. E’ evidente che tale processo di semplificazione deve avere un limite determinato dalle condizioni tecnologiche in quanto provocherebbe a lungo andare un rilassamento del costrutto del prodotto.
A tale scopo si rende quindi necessario, nel caso di uso di lievito naturale, e quindi di fermentazione lunga, l’impiego di farine di forza ben bilanciate. Il maggior contenuto in aminoacidi ed in zuccheri semplificati nel prodotto ottenuto con lievito naturale, rispetto a quello ottenuto con il lievito industriale compresso, determina la fragranza del prodotto in quanto sono proprio alcuni aminoacidi che, successivamente, durante la cottura, reagiscono con il glucosio (reazione di Maillard) formando composti responsabili del caratteristico aroma e sapore.
In definitiva l’impiego del lievito naturale nei prodotti da forno presenta dei vantaggi che possiamo riassumere in:
• una più lunga durata di conservazione del prodotto a causa della maggior acidità dell’impasto la quale rallenta anche lo sviluppo delle muffe;
• un’alveolatura più fine e regolare, dovuta ad una produzione di anidride carbonica più lenta e più graduale, a causa della maggior durata del processo fermentativo;
• sapore e profumo caratteristico, accentuati a causa della formazione di sostanze organiche volatili e di prodotti aromatici che si formano durante la cottura tra gli aminoacidi e gli zuccheri;
• ed ,infine, soprattutto una maggiore digeribilità ed assimilabilità dei prodotti da forno a lievitazione naturale, rispetto a quelli con lievito compresso, in quanto, l’azione enzimatica delle lievitazioni biologiche e la maggior durata del processo con il lievito naturale, provoca, a carico delle sostanze che compongono l’impasto, dei processi di trasformazione con formazione di molecole più semplici, trasformazioni analoghe a quelle che avvengono con la digestione degli alimenti e che, quindi, se già avvenute in precedenza, facilitano il lavoro dell’apparato digerente.

BIGA
Nella panificazione con metodo indiretto, la biga è un preimpasto ottenuto miscelando acqua, farina e lievito in proporzioni tali che esso risulti piuttosto asciutto (circa 450 g di acqua per 1 kg di farina e 10 g di lievito di birra fresco). Richiede l’impiego di farine forti ed equilibrate, con W maggiore di 300 e P/L (rapporto resistenza/elasticità) variabile tra 0,5 e 0,6, tempi brevi di miscelazione, temperatura finale non superiore a 21 °C e un periodo di fermentazione variabile da dieci a quarantotto ore a temperature sui 16/18 °C, per bighe fino a 24 ore, o 4 °C nella prima fase e 18 °C nelle ultime 24 ore, per bighe fino a 48 ore. A seconda del tipo di pane che si intende preparare, si aggiungono quindi gli altri ingredienti. Dopo un’ulteriore lievitazione, l’impasto finale viene tagliato, formato e lasciato ancora lievitare prima della cottura.
POOLISH
Nella panificazione con metodo indiretto, il poolish è un preimpasto ottenuto miscelando acqua, farina e lievito in proporzioni tali che esso risulti molto liquido (1 l di acqua per 1 kg di farina). La percentuale di lievito varia in base al numero delle ore di lievitazione. Richiede l’impiego di farine forti ed equilibrate, con W maggiore di 300 e P/L (rapporto resistenza/elasticità) variabile tra 0,5 e 0,6, tempi brevi di miscelazione, temperatura finale non superiore a 25 °C e un periodo di fermentazione variabile da due a ventiquattro ore a temperature dai 16 ai 22 °C. A seconda del tipo di pane che si intende preparare, si aggiungono quindi gli altri ingredienti. Dopo un’ulteriore lievitazione, l’impasto finale viene tagliato, formato e lasciato ancora lievitare prima della cottura.

Maurizio De Pasquale

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